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Solidarizzare con tutti, essere dalla parte di nessuno

Oggi Francesco Costa nella sua puntata giornaliera di Morning, riguardo alla guerra tra Israele ed Hamas, invitava a solidarizzare con le vittime israeliane e palestinesi, senza per forza schierarsi con gli uni o con gli altri.

Questa è un po’ la mia posizione da sempre sul conflitto Israele-Palestina.

Perché è evidente a tutti che né il governo israeliano, né Hamas vogliono una soluzione pacifica.
La soluzione dei due stati è ormai una ipotesi infattibile, in un panorama in cui entrambi i contendenti vogliono soltanto la distruzione del nemico.

Di chi sia la colpa, chi abbia iniziato prima, chi abbia più o meno ragione, non conta più nulla.

Possiamo soltanto solidarizzare con i civili israeliani uccisi, con gli israeliani rapiti e che verranno probabilmente giustiziati da Hamas, e con i palestinesi assediati, affamati e bombardati da Israele.

In giorni in cui tutti provano a schierarsi con gli uni o con gli altri, decidendo chi abbia ragione e chi abbia torto, credo che la cosa più utile sia non schierarsi con nessuno dei due e stare soltanto dalla parte delle vittime di entrambi.

Luca

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Il silenzio non è assenzo

È sempre imbarazzante parlare di violenza sulle donne, quando a farlo è un uomo.
Molti di noi uomini viviamo questo tema come se fosse estraneo a noi, come se dovessimo parlare di mestruazioni o di gravidanza.
Non ci riguarda.
Noi del resto siamo brave persone, non toccheremmo una donna con un dito o, come diceva un proverbio che mi declamava mia nonna quando mi azzuffavo con mia sorella:
“Una donna non si tocca neanche con un fiore”.

Eppure non è così, lo sappiamo bene che non è così.
Perché quella che in molto definiscono “cultura dello stupro” è qualcosa che ci sta dentro, a livello culturale, da cui non possiamo sentirci esclusi.

Succedono poi casi di cronaca, come quello di Palermo che, nella loro brutalità, ci fanno ritornare a pensare a noi, a come noi uomini siamo stati cresciuti, a quale visione dell’uomo e della donna abbiamo assimilato.

Sui social molte donne in questi giorni lamentano il fatto che nelle storie e nei post, sono pochissimi gli uomini ad aver preso posizione sul tema.
Ecco allora il mio contributo.

La prima cosa che verrebbe da dire è che non c’è niente da dire di fronte ad un atto di tale bestialità.
Eppure qualcosa da dire c’è.
Perché se un gruppo di uomini (smettete di chiamarli ragazzi) decide di portare in un luogo isolato una ragazza ubriaca e di abusare di lei, allora mi viene da chiedere com’è che, su sette uomini presenti, nessuno si sia messo di mezzo, abbia provato a far ragionare gli altri.
Sappiamo tutti quanto siano devastanti per il libero arbitrio le dinamiche del branco, ma se l’arbitrio è libero, allora ognuno è responsabile, non solo degli atti che fa, ma anche di quelli che non impedisce che facciano gli altri.

Se non mi fermo a soccorrere una persona vittima di un incidente stradale e posso essere incriminato per omissione di soccorso, allora, a maggior ragione, se partecipo ad una violenza, sono responsabile a tutti gli effetti.

Amnesty International, come tante altre associazioni sta portando avanti una campagna sul tema del consenso perché, la nostra cultura patriarcale maschilista, è inutile nasconderci, ci porta a considerare il corpo della donna un po’ come una cosa nostra.

amnesty consenso 2

Per cui, se una ragazza si veste in modo provocante, evidentemente è in cerca di un uomo con cui fare del sesso e quest’uomo si sentirà assolto dal fatto di aver visto un corpo evidentemente a sua disposizione.
Sono meccanismi culturali difficili da scardinare che, i più avveduti combattono, mentre gli uomini meno senzienti cavalcano, sentendosi giustificati a disporre del corpo delle donne, anche quando sono ubriache e quindi non capaci di intendere e di volere.

In tutto questo, come sempre, il ruolo degli adulti non è quello di fare ramanzine, ma di dare il buon esempio.
Amando e rispettando le donne, permettendo loro di essere padrone del loro corpo e delle loro scelte, ammirando le loro capacità e rispettando la loro libertà, anche sessuale.
Tutto molto bello, ma tutto molto difficile da mettere in pratica in una società in cui siamo stati abituati a leggere la realtà in modo del tutto diverso, tutto incentrato e focalizzato sulla dominanza del maschio.

Quindi, l’unica cosa da fare, come sempre è quella di provare ad essere brave persone, bravi ragazzi, bravi uomini, bravi compagni.
Tutto il resto, dalla castrazione chimica tanto cara ai fasci, al “buttiamo via la chiave”, al “se lo facessero a mia figlia li ucciderei tutti”, non serve a niente, serve solo ad avvelenare i pozzi e ci impedisce di pensare lucidamente.

Indigniamoci meno e comportiamoci meglio.
Da oggi, da ora, da subito.

Luca

Immagini | Amnesty International

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Show me his pulse!

Nell’atroce video del New York Times in cui viene ricostruito l’omicidio di George Floyd c’è un fotogramma che mi ha colpito ed è quello che vedete qui sopra.

Si vede una donna protestare con uno dei poliziotti che sta proteggendo quelli che nel frattempo stanno causando la morte dell’uomo fermato e gli chiede: “Show me his pulse!” che sarebbe come dire “Fammi vedere se gli batte ancora il cuore”.

Credo che in un mondo in cui agli agenti di polizia non viene ancora insegnato come gestire situazioni emotivamente complicate (aldilà di tutte le questioni razziali e di sanità mentale di una parte delle forze dell’ordine), ci vorrebbero donne come quella del video in tutte le strade.

Perché se la polizia ci deve proteggere dai cattivi, sono i cittadini a dover forse vigilare sugli abusi della polizia. Quante volte abbiamo tirato dritto di fronte ad atteggiamenti intimidatori od offensivi di forze dell’ordine?
Mi sono trovato io in Questura a Siena a vedere una agente di polizia trattare in malo modo e senza nessuna reale motivazione gli immigrati in fila per i documenti e trattare in modo molto più gentile i cittadini italiani. Avrei dovuto dirle qualcosa? Sicuramente si.
Sarebbe servito a qualcosa? Forse.

Di sicuro se quella ragazza e gli altri che hanno girato i video non si fossero fermati oggi quello di George Floyd non sarebbe un omicidio, ma sarebbe l’ennesimo arrestato morto per arresto cardiaco, overdose, autolesionismo, caduta dalle scale, o aggiungete voi una voce a piacere.

“Anche se avete chiuso
Le vostre porte sul nostro muso
La notte che le pantere
Ci mordevano il sedere
Lasciandoci in buonafede
Massacrare sui marciapiede
Anche se ora ve ne fregate
Voi quella notte, voi c’eravate”

Siamo tutti, in piccola parte, responsabili di quello che succede.

Luca

Qui sotto, se volete, il video del NYT.

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Genova, Luglio, 15 anni fa

Il 20 Luglio 2001 è stato il giorno in cui la generazione di quelli nati negli anni settanta ha perso la sua innocenza.
In un giorno abbiamo aperto gli occhi su quello che il potere può fare contro i suoi stessi cittadini.
In un giorno soltanto abbiamo capito cosa fosse stata la Strategia della Tensione nell’Italia degli anni di piombo.

Furono giornate tremende che non potrò dimenticare.
Eppure, oggi, quando ancora ne parli, capisci che quella strategia in parte funzionò.
In molti sottovalutano Genova, la giustificano, l’hanno dimenticata.

carlo giuliani

Due mesi dopo Genova arrivò l’undici settembre e tutto cambiò.
Lo raccontò alcuni anni fa Nick Davies in un suo reportage pubblicato sul Guardian e tradotto su Internazionale.

Cinquantadue giorni dopo l’irruzione nella Diaz, diciannove uomini usarono degli aerei pieni di passeggeri per colpire al cuore le democrazie occidentali. Da quel momento, politici che non si definirebbero mai fascisti hanno autorizzato intercettazioni telefoniche a tappeto, controlli della posta elettronica, detenzioni senza processo, torture sistematiche sui detenuti e l’uccisione mirata di semplici sospetti, mentre la procedura dell’estradizione è stata sostituita dalla “consegna straordinaria” di prigionieri.

Questo non è il fascismo dei dittatori con gli stivali militari e la schiuma alla bocca. È il pragmatismo dei nuovi politici dall’aria simpatica. Ma il risultato appare molto simile. Genova ci dice che quando il potere si sente minacciato, lo stato di diritto può essere sospeso. Ovunque.

Genova e l’11 Settembre furono uniti da un sottile linea rossa che permise al potere di cambiare le nostre vite lasciandoci in gran parte inconsapevoli.

La notizia di ieri, con l’ennesimo rinvio all’approvazione di una legge che istituisca in Italia il reato di tortura, costituisce la triste coincidenza che ci ricorda quanto lo stato di diritto sia tornato indietro negli ultimi 15 anni.

Luca

Immagine (Reuters/Contrasto) | Internazionale

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Come pensavate che potesse essere la foto di un bambino morto annegato?

Quando ieri sera ho visto apparire su Twitter la foto del bambino siriano morto sulla spiaggia, sono rimasto sconvolto.

È una foto (sono foto) tremenda.
La foto di qualunque bambino morto è tremenda, perché la morte non può essere associata all’immagine di un bambino.
È una associazione che la nostra ragione rifiuta.

La discussione si è incentrata, come è tipico dell’onanismo giornalistico, sul fatto se fosse giusto o meno far vedere quella (quelle) foto.
Molti giornali l’hanno messa in prima, affiancata da editoriali che ne spiegano il motivo della pubblicazione.
Tutti, o quasi, concordano sul fatto che sia giusto far vedere quella foto, perché non possiamo più far finta di niente.

E io mi chiedo come pensavamo che fosse un bambino morto affogato.
Quando abbiamo sentito mille volte raccontare di un barcone affondato, con a bordo anche donne e bambini, come pensavamo che apparissero i corpi di quelle donne e di quei bambini?

Io vorrei che avesse ragione Mario Calabresi, che oggi scrive così su La Stampa:

il rispetto per questo bambino, che scappava con i suoi fratelli e i suoi genitori da una guerra che si svolge alle porte di casa nostra, pretende che tutti sappiano. Pretende che ognuno di noi si fermi un momento e sia cosciente di cosa sta accadendo sulle spiagge del mare in cui siamo andati in vacanza. Poi potrete riprendere la vostra vita, magari indignati da questa scelta, ma consapevoli.

Vorrei che avesse ragione.

Ma non ci posso credere che ci servisse vedere la foto di un bambino morto affogato per renderci conto che non può mai essere giusto che i bambini muoiano mentre scappano da un altro tipo di morte.
Se fosse così, saremmo troppo stupidi.
O saremmo troppo intelligenti se, dopo aver visto quella foto, riuscissimo a cambiare idea.

Luca

Foto (Dan Kitwood / Getty) | The Atlantic