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La Lega di Calderoli e la morte del PD

orango

Oggi siamo giustamente indignati per il tentativo della Lega di recuperare la sua base elettorale tramite le invettive razziste dei suoi più spregiudicati dirigenti.

Dobbiamo però essere onesti con noi stessi e ricordarci che è la stessa Lega che in più occasioni il PD ha tentato di sedurre pur di riuscire a far cadere Berlusconi.
Nel 2011 Bersani rilasciò un’intervista a La Padania che, letta oggi, fa accapponare la pelle come allora.

Lo ricorda il collettivo Wu Ming in un post pubblicato sul sito di Internazionale che traccia un’analisi condivisibile del perché il PD non sia riuscito a caratterizzarsi come partito con un’identità definita arrivando perfino a governare insieme a quel Berlusconi il cui abbattimento rendeva plausibile perfino un accordo con un partito xenofobo e razzista.

La normalizzazione forzosa e l’abbattimento delle dogane filosofiche e culturali servono ai buoni affari, agli appalti, alle grandi opere, alle colate di cemento sui territori e sulla testa delle popolazioni, ma nuocciono ad altri aspetti, che toccano altrettanto la sostanza della vita civile e le sorti collettive.

Del resto, il Partito democratico si fonda precisamente su due equivoci culturali, quelli che lo rendono ab origine una forza politica del tutto inservibile per qualsivoglia riforma (e tutt’al più utile per alcune controriforme): la pretesa di essere al tempo stesso liberisti e socialdemocratici, da un lato; e quella di essere laici e filoconfessionali, dall’altro. Questo determina l’impasse, poi l’immobilità, via via fino al rigor mortis.

La terra di mezzo che il PD abita dalla sua nascita è una terra sterile, che non dà frutti.
Non si prende mai una strada precisa, si prova sempre a percorrere un solco ormai arido che non porta in nessun luogo.
E’ la politica del prendere tempo, del non decidere mai niente, del rimandare a domani, del non schierarsi mai, sperando di avere prima o poi una legittimazione popolare che, invece non arriverà e che in ogni caso non basterebbe a dare una linea di governo ad un partito che una linea non ce l’ha.

La vicenda dei reiterati insulti alla ministra Kyenge per il fatto di essere nera e donna (qualcuno infatti ha anche inneggiato allo stupro, ma così, tanto per scherzo…) è una perfetta cartina al tornasole.

Il governo del non-fare, che in questo momento occupa la plancia del Titanic facendo finta di pilotare, ha in organico una ministra la cui designazione può significare una cosa sola: ius soli. Ma lo ius soli non potrà mai essere finché si ha la necessità di abbozzare con gli alleati di governo e di normalizzare certi avversari impresentabili. Di stare cioè tutti insieme appassionatamente sul transatlantico.

Così come non si potrà mai avere una legge decente sulla fecondazione eterologa, né i matrimoni gay ormai approvati in tutto il mondo occidentale, né l’attuazione della legge 194 sull’interruzione di gravidanza (attualmente disattesa grazie alla presenza dell’80 per cento di obiettori di coscienza negli ospedali italiani), né la riduzione dei finanziamenti alle scuole private paritarie confessionali in favore del rifinanziamento della scuola pubblica… se si deve tenere buona la propria componente confessionalista cattolica.

I sedicenti democratici non possono scegliere tra gli operai e Marchionne, tra lo stato laico e la chiesa, tra la libertà e la discriminazione, perché hanno deciso che tutto si può tenere assieme, che il conflitto può essere negato, e di questa negazione hanno fatto la propria ragione sociale. Ma è una ragione sociale fallata, che infatti ha prodotto una débâcle clamorosa. Un partito che era nato con tre obiettivi: sconfiggere Berlusconi, diventare maggioritario, fare le riforme, è riuscito a mancarli tutti. Date le premesse, le cose non sarebbero potute andare diversamente.

Bersani e i suoi sodali meritano il paese che hanno contribuito a costruire. Un paese dove una ministra viene sfottuta e insultata da un rappresentante delle istituzioni perché è nera. Dove solo una donna su due ha un impiego. Dove le donne povere hanno ripreso ad abortire clandestinamente. Dove il monte ore di cassa integrazione sembra l’Everest e i lavoratori di qualunque età vivono in bilico tra precarietà e disoccupazione. Dove solo un bambino su dieci ha un posto all’asilo nido. Dove i cittadini stranieri sono sottoposti al ricatto dei datori di lavoro per avere il permesso di soggiorno, senza il quale rischiano di essere espulsi, dopo essere transitati per le prigioni etniche (istituite dalla legge Turco-Napolitano nel 1998). Dove i movimenti sociali che cercano di opporsi all’avanzata del peggio vengono manganellati e repressi.

Certo è chiedere troppo che i sedicenti democratici si rendano conto di essere ormai il principale ostacolo politico alla rinascita di una sinistra che possa dirsi tale. Tuttavia potrebbero almeno risparmiarci lo spettacolo ipocrita della loro chiassosa indignazione per le battute dei razzisti che fino a ieri consideravano buoni interlocutori.

Non si capisce perché gli italiani dovrebbe dar fiducia ad un partito così poco definito, senza idee, o forse con troppe idee e nessuna capacità di sintesi.

Gli indignati di oggi contro la Lega potrebbero domani essere gli stessi che torneranno a corteggiarla per cercare di andare al governo e, ancora una volta, non riuscire a governare.

Il PD sarà salvato soltanto dal normale procedere degli eventi che, prima o poi, vedranno uscire di scena Berlusconi ed il quadro politico italiano tornerà ad essere quello che è in ogni paese occidentale, costituito cioè da un centro-destra conservatore e da un centro-sinistra progressista.

L’esperimento è fallito, inutile continuare a girarci intorno.
La salvezza del PD sarà la morte del PD come lo abbiamo conosciuto.

Non credo che il lutto durerà per molto.

Luca

Immagine | GoodNews

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diritti umani

Distruggere la campagna per combattere la violenza contro le donne con una sola intervista

E’ molto triste da dire, ma le prime complici degli uomini violenti, sono spesso proprio le donne.
Rosaria, la donna pestata dal suo uomo, ancora all’ospedale in prognosi riservata dopo due operazioni in cui le hanno asportato la milza e curato una emorragia interna, ha deciso di ritirare la denuncia.

«Sto male al pensiero che sia rinchiuso in carcere. Non voglio che Antonio resti ancora lì dentro. Lo so che non si è reso conto di quello che mi ha fatto e voglio tornare con lui». Dice che vorrebbe «poterlo incontrare perché sono certa che si è pentito. Vorrei potergli dire da vicino: mi manchi tanto, vorrei tornare a passare le nostre serate assieme sul divano della tavernetta».

In tutto questo, ti verrebbe anche da dire che, se è contenta lei, allora siamo contenti tutti.
E, invece no. Non siamo contenti per niente.
Anche perché c’è un figlio di 12 mesi che dovrebbe andare a vivere con questi due squinternati, e il perdono, cara Rosaria, non prevede che uno stato democratico possa permettere a te e a tuo figlio di farsi menare da un uomo violento.
Ora forse non lo capisci, ma lo capirai.

Antonio se ne farà una ragione.

Luca

Via | Luca Sofri

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diritti umani politica

I 10 punti

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Amnesty International ha chiesto ai candidati premier nelle prossime elezioni politiche di esprimere la loro posizione su 10 punti inerenti tematiche sul rispetto dei diritti umani nel nostro paese.

  1. Garantire la trasparenza delle forze di polizia e introdurre il reato di tortura
  2. Fermare il femminicidio e la violenza contro le donne
  3. Proteggere i rifugiati, fermare lo sfruttamento e la criminalizzazione dei migranti e sospendere gli accordi con la Libia sul controllo dell’immigrazione
  4. Assicurare condizioni dignitose e rispettose dei diritti umani nelle carceri
  5. Combattere l’omofobia e la transfobia e garantire tutti i diritti umani alle
  6. persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate)
  7. Fermare la discriminazione, gli sgomberi forzati e la segregazione etnica dei rom
  8. Creare un’istituzione nazionale indipendente per la protezione dei diritti umani
  9. Imporre alle multinazionali italiane il rispetto dei diritti umani
  10. Lottare contro la pena di morte nel mondo e promuovere i diritti umani nei rapporti con gli altri stati
  11. Garantire il controllo sul commercio delle armi favorendo l’adozione di un trattato internazionale

Amnesty pubblicherà le eventuali risposte fornite dai candidati.
Mi pare un’iniziativa interessante.

Luca

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vivere

Liberare le donne, per liberare gli uomini

Simone Spetia, si quel giornalista bravo con la voce spettacolare che sentite al GR di Radio 24, ha scritto una cosa molto bella e profonda sull’essere uomini e donne che lavorano e hanno una famiglia, magari dei figli.

Ecco, la cosa più pesante (anche intellettualmente umiliante, se volete) è il dover dosare le energie che potremmo liberare come padri, come mariti per accumularle e sfruttarle solo sul lavoro. Questo rientrare stremati a casa e raccontarci la bella favoletta che “non conta la quantità di tempo che trascorri con loro, ma la qualità”, che è un po’ come quella cosa delle dimensioni a letto. Ce la raccontiamo e ce la raccontano. la quantità di tempo conta eccome. Perché ti sei perso quella prima parola, quel gorgheggio, quei passi, quella lezione di calcio o di rugby, quei compiti fatti insieme, quel momento di pace sul divano, quella casetta di Lego, quel racconto sulla giornata a scuola.

Cosa potrebbero essere loro se i gli stessi più accanto, se portassi il mio carico di esperienze di vita diverse da quelle di mia moglie (sempre sia lodata, comunque), se portassi me stesso, per il solo fatto di essere un maschio e quindi diverso da lei? E quante cose in più potrei raccontargli, spiegargli? Quante ne potrei imparare?

Ma la riflessione di Simone Spetia è tutta rivolta alla considerazione di come noi uomini dovremmo prenderci cura della emancipazione lavorativa, e non solo di quella, delle donne, perché è giusto, perché loro se lo meritano, perché vivranno meglio , ma alla fine staremo meglio pure noi.

Dobbiamo fare di meglio, però: far uscire la nostra moglie o la nostra compagna la sera con amiche o amici e restate noi a gestire i bambini, senza romperle i coglioni ogni quarto d’ora al telefono; dobbiamo spingerla a cercare un lavoro, anche part-time, anche precario, che ci costringa a rosicchiare mezz’ore al nostro – di lavoro – per darle la possibilità di farlo; metterci in gioco; immaginarci diversi. Ecco, questo è importante: pensarci in quel ruolo, calarci in una loro giornata tipo e agire di conseguenza.

Liberare le donne, per liberare gli uomini.

Simone Spetia, tra le altre cose, conduce #Votantonio una trasmissione spettacolare per chi si interessi di politica ed internet.
Insomma, è uno bravo.

Luca

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politica

Quand’è che Rosy Bindi è diventata baluardo contro il rinnovamento

Rosy Bindi ha sempre avuto la tendenza a spararle grosse, ad usare sempre un tono aggressivo, come se fosse sempre in guerra.
Una caratteristica territoriale, temo.

Negli corso degli anni in tanti l’hanno criticata per i suoi atteggiamenti e l’hanno irrisa per il suo aspetto fisico.
Fino ad allora la Bindi ha mantenuto una sua collocazione politica che è stata di riferimento per molti cattolici progressisti (ammesso che siano mai esistiti).

C’è stato però un momento di svolta, che secondo me è quello del celebre alterco con Berlusconi, nel quale l’allora Presidente del Consiglio la etichettò come brutta e cretina (“più bella che intelligente”) e lei reagì in maniera molto decisa e dignitosa.
Ecco, da quel momento la Bindi è diventa l’idolo delle donne del “Se non ora quando” e di un certo antiberlusconismo rampante che le ha fatto credere di avere un seguito politico ed un “peso” nel partito che in realtà non ha mai avuto.

Ce la ritroviamo oggi come uno dei principali baluardi al rinnovamento del PD.
Forte della sua posizione, pretenderebbe di decidere chi è più o meno degno di partecipare alle primarie, fin quando non arrivi addirittura a negare la possibilità di farle (le primarie).

Rosy Bindi, la cattolica prestata al centro-sinistra ed ormai trasformatasi in un baluardo contro chi il centro-sinistra lo vorrebbe rinnovare

E la colpa, come sempre, è di Berlusconi e dei suoi alleati, gli antiberlusconiani di professione.

Luca