Il più bel ritratto di Giorgio Bocca, scomparso il giorno di Natale a 91 anni, lo fa, come succede spesso, uno da molti visto dall’altra parte della barricata rispetto a lui: Giuliano Ferrara.
Ovviamente le barricate esistono soltanto nelle nostre teste, e Bocca e Ferrara hanno molte cose in comune.
Il ricordo del direttore del Foglio inizia così:
Non starò a raccontare come e perché ce le siamo date di santa ragione tutta la vita, da quando ero un cucciolo e lui già un adulto cattivo con l’età dei miei genitori, e ce le siamo date da fegatosi, da irascibili, da fieri nemici assoluti su tutto, la politica, il terrorismo, la storia, il Partito comunista, gli azionisti, il fascismo, l’antifascismo, le rispettive ossessioni come Berlusconi, come Craxi, come la corruzione e la questione dell’etica, ma anche il giornalismo, la sua incerta e un po’ sozza morale, la corrività, l’indulgenza e la condiscendenza inguaribili della sua lobby editoriale di Repubblica e dell’Espresso.
E finisce così:
Da moralista, pamphlettista e autobiografo lo spunto superficiale era spesso brillante, la via sinuosa e traditrice degli argomenti e delle storie si faceva leggere, non era mai pomposo, mai altezzoso, e la sua era una cultura dell’anima piena di errori, di distrazioni, Bocca aveva sempre qualcosa di imperdonabile che riscattava con una vena di perfidia generosissima, con una specie di appassionata indifferenza, roba da contrafforte gesuitico della stimabile e tutta d’un pezzo città di Cuneo. Ora che a questo eccezionale imperdonabile dobbiamo perdonargli tutto perché è morto stecchito, esposto alle bolsaggini che s’immaginano frammiste a qualche segno di vera amicizia, ora è spiacevole non averlo vivo con tutte le sue caccole psicologiche, con tutti i suoi morbi professionali, con tutte le sue bevute e le sue sparate, per continuare a leggerlo e farci a botte.
Il ritratto più rituale, lo fa invece Frabrizio Ravelli su Repubblica.
Luca