Stamattina sul bus, mentre leggevo il giornale, mi chiedevo cosa possa spingere una decina di persone ad inforcare rosari e crocifissi per fare un picchetto davanti ad un’ospedale dove una donna, che loro nemmeno conoscono, ha fatto una scelta dolorosa.
Sara ha 32 anni, vive nel Salento, ha un marito ingegnere con qualche anno di più, un figlio a casa di tre anni. «Non vedo l’ora di tornare da lui», dice. Una volta preso il trattamento firmerà per andarsene. «Che devo rimanere a fare? Per carità già sono così triste, voglio casa mia e il mio bambino. Dopo operazioni complicate ti rimandano a casa perché io dovrei rimanere? Anzi mi aspetto che Vendola dica una parola chiara sulla possibilità del Day Hospital al più presto».
Sono stupiti e amareggiati Sara e Carlo di quello che accade intorno a loro, delle telecamere che li cercano, dell’essere diventati il simbolo di una guerra tra laici e cattolici. Il racconto della loro scelta esce a pezzi, uno più doloroso dell’altro. «A gennaio ho avuto un’operazione complicata all’utero», spiega Sara. «Per questo non posso avere un altro figlio adesso, rischio la lacerazione dell’utero, rischierei di morire. Perché non ho fatto attenzione? Perché non mi sono protetta?».Domande così intime che la donna fa a se stessa per evitare l’umiliazione di sentire nella voce di un estraneo anche solo una sfumatura di riprovazione. Sa che deve essere chiara per se e per tutte le altre donne che si troveranno a dover fare questa scelta. «Per sei mesi non posso mettere la spirale e neanche prendere la pillola. Abbiamo usato il preservativo, ma siamo stati sfortunati. Che cosa devo fare? Crocifiggermi? Già ci stanno pensando gli altri. Non voglio tornare in una sala operatoria e sono disposta ad affrontare tutto questo per evitarlo. Perché mi giudicano? E comunque me la devono far conoscere una donna che come dicono loro abortisce con leggerezza. Non hanno nessuna pietà».
Luca
Via | La Stampa, Foto | Repubblica.it