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Matteo, ora fatti da parte

C’è chi dice che le cose dette in politica siano valide solo nel momento in cui si dicono.
Quello che prometto oggi, non è più valido domani.
Che è anche vero, perché il mondo è complesso e soltanto gli ingenui e gli ipocriti possono pretendere dagli altri, ancorché politici, una coerenza assoluta.
Cambiare, o meglio adattare le proprie idee e le proprie azioni al cambiamento, sono, secondo me, segni di saggezza.

Quindi, se Matteo Renzi cambia idea, ed una volta perso il referendum, sconfessa sé stesso, non abbandonando la politica, non fa nulla di scandaloso.

https://youtu.be/vPAOHeKORI0?t=78

Ha cambiato idea, ed è legittimo farlo, come dicevo.
Più probabilmente, più che cambiare idea, ha pensato che minacciare le dimissioni fosse un modo per attrarre consensi per il SI alle riforme costituzionali.
Ha sottovalutato il dissenso, come molti altri politici hanno fatto in questi anni, e ci è rimasto bruciato.

Ripartire da capo, provare a ricostruire un consenso intorno alla sua candidatura, prepararsi per le prossime elezioni è perfettamente normale e legittimo.
Non fa niente di male o di strano, lo può fare, ne ha perfettamente il diritto.

Nonostante questo, io credo che non dovrebbe farlo e dovrebbe farsi da parte.
Matteo Renzi ha già sconfessato sé stesso quando è arrivato al potere tramite una manovra di palazzo, che di fatto ha smentito tutto quello che aveva detto precedentemente su un nuovo modo di fare politica.
Quella macchia iniziale è stata la profezia di quello che sarebbe avvenuto successivamente.
L’aria nuova, promessa da Renzi, è rimasta soltanto nelle sue intenzioni, sporcata dai necessari compromessi che, proprio quella salita al potere furbetta, si è tirata dietro.
Una forte investitura popolare gli avrebbe potuto permettere, allora, di costruire una maggioranza vera, e non avremmo forse dovuto assistere agli accordicchi con Verdini e con altri impresentabili.

La sua intenzione di restare in politica, al costo della probabile scissione del PD e dello scontro con D’Alema e con le altre cariatidi della sinistra. finirà per diluire ancora di più le sue intenzioni riformatrici.

Qualcuno, ammesso che esista qualcuno che Renzi sia veramente intenzionato ad ascoltare, dovrebbe consigliargli di mettersi da parte ed evitargli una probabile sconfitta alle elezioni.
Temo che non ci sia alternativa al dover assistere anche in Italia al trionfo dei movimenti più populisti.
È un pegno che dobbiamo pagare e che ricade tutto sull’incapacità e la poca avvedutezza della nostra classe dirigente, di cui Renzi è stato ed è ancora un membro qualificato.
Ci sarebbe poi da fare tutto un ragionamento sul livello di civismo degli italiani, sempre pronti a denunciare gli errori altrui, senza mai mettere in discussione i propri, ma questo è un altro discorso, che travalica la politica (ne ha parlato Mattia Feltri qualche giorno fa su La Stampa).

Possiamo solo aspettare il trionfo di Grillo, di Salvini, della Meloni, e di tutti quelli capaci di convogliare l’isterico e confuso malessere degli italiani, e sperare che la nottata passi velocemente.

Dopo, e soltanto dopo, Renzi, se richiamato, dovrebbe pensare ad un rientro in politica.
E forse quella potrebbe essere la volta buona.
Questa volta davvero.

Luca

Foto | Huffington Post

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Minacciare sempre l’abisso e non capirci mai niente

Guardiamo tutti all’America, ma la conosciamo poco.
O meglio, anche chi conosce l’America, conosce pochissimo gli americani che hanno votato per Trump.
Che sono gli americani della provincia, quelli dei distretti industriali, quelli che la ripresa economica l’hanno sentita evocare in TV, ma che non l’hanno ancora vista avere effetti sulla loro vita.
Era il 2008 e da quella crisi si sono riprese le banche (alcune), le borse (alcune), il mondo della finanza (in buona parte), la classe dirigente (tutta, o quasi).
Sono passati 8 anni e da quella crisi i cittadini normali non si sono ripresi affatto.

In questi anni abbiamo quindi assistito ad un paradosso.
Da una parte, i giornali e le TV ci raccontavano di una crisi ormai alle spalle (più in America che in Europa, meno ancora in Italia), dall’altra i cittadini la crisi la vivevano tutti i giorni nei loro conti in banca sempre sulla linea del galleggiamento, quando era sufficiente una spesa imprevista per far saltare il banco e magari la famiglia.

In questo paradosso si è poi inserita una comunicazione politica che è stata incapace di spiegare ai cittadini cosa stesse realmente succedendo.
E la colpa non è della comunicazione, ma della politica.
In questo scenario di grande fraintendimento, la classe dirigente (politica, finanziaria, economica) è riuscita a fare una cosa soltanto.
Ha iniziato a paventare cataclismi.
Invece di spiegare perché si continuasse a parlare di ripresa economica quando la maggior parte delle persone stava ancora molto peggio del 2008, ha iniziato a minacciare i cittadini sulle possibile conseguenze catastrofiche che possibili cambiamenti strutturali avrebbero provocato.
Se vince la Brexit, morirete tutti.
Se vince Trump, scoppierà le terza guerra mondiale.
Se vince il No al referendum costituzionale italiano, allora preparatevi a conseguenze tremende sulla nostra economia.

In poche parole, se le cose non andranno come la classe dirigente ha deciso che devono andare, allora crollerà giù tutto.

Ma le persone, o almeno molte di loro, è quello che vogliono.
Che crolli giù tutto.
Vogliono soprattutto assistere al fallimento di quella classe dirigente che continua a raccontare di miglioramenti macroeconomici che non hanno nessun effetto sulla loro vita e sul loro benessere.

Inutile dire che è un errore clamoroso fatto da chi dovrebbe conoscere meglio le persone e le loro necessità.
È un errore in cui è caduto anche Matteo Renzi che, almeno all’inizio, ha fatto intendere che la vittoria del No al referendum costituzionale avrebbe portato alla fine del suo governo e a conseguenze imprevedibili sul nostro paese.
Che poi è tutto giusto, perché Renzi si dovrebbe davvero dimettere in caso di sconfitta e le conseguenze sarebbero davvero imprevedibili.
Ma se dici alle persone che se vince il No, allora l’attuale classe dirigente se ne tornerà a casa e tutto cambierà, allora la gente andrà a votare in massa per il No.

È un antico vizio italico, soprattutto della sinistra.
Ci abbiamo messo 20 anni a capire che per battere Berlusconi era innanzitutto necessario smettere di trattarlo come l’anticristo e smettere soprattutto di considerare idioti tutti quelli che l’avevano votato.
Renzi questa cosa la capì e la mise in pratica.
Ora pare essersene scordato.
Tutta la retorica sui gufi, le battute sui cinquestelle, la prosa saputella di chi la sa lunga, è perdente.

Con Trump è successa più o meno la stessa cosa.
Se voti Trump crollerà tutto il mondo come l’avete conosciuto, chi lo vota è un’idiota, razzista, misogino e stupido.
Se me lo dici tu, che in questi anni non sei riuscito a migliorare la mia vita di una virgola, allora si, grazie, vado a votare per Trump.
E anche di corsa.

Luca

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Vogliamoci bene

Da ieri finalmente le unioni civili sono diventate realtà.
È stato indubbiamente un giorno importante per la nostra giovane eppure così anziana democrazia.
Non è che ci sia tutto questo motivo di festeggiare, visto che è un provvedimento che aspettavamo da 20 anni e che è già stato superato dalle trasformazioni sociali che stiamo vivendo.

Eppure credo sia giusto, una volta tanto, essere felici per questo passo avanti.
Matteo Renzi aveva promesso che avrebbe legalizzato le unioni civili, ed è stato di parola.
Perché hai voglia a dire che siamo governati da un despota, ma se il governo non avesse messo la fiducia su questo provvedimento, il parlamento non sarebbe riuscito nemmeno in questa legislatura ad approvare le unioni civili.
Sarà pure un governo di destra, ma tutte le anime belle che hanno guidato il centro-sinistra fino ad ora non ci erano riuscite.

Renzi ieri, nel festeggiare per l’approvazione, ha ricordato una sua amica, Alessia.
Io di quella storia me ne ricordavo.
Ne avevo pure scritto in questo blog, perché era una bella storia di amicizia tra persone molto diverse.
E mi era piaciuta.

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Di legge elettorale e fascismo

C’è molta ipocrisia nel modo in cui una parte del parlamento sta affrontando la riforma della legge elettorale.
Leggendo le dichiarazioni di molti politici, di destra e di sinistra, saremmo quasi indotti a pensare che non siano gli stessi politici incapaci di riformare la legge elettorale nelle ultime legislature.

Matteo Renzi è un elefante, non c’è dubbio.
Mette spesso il parlamento con le spalle al muro.
La decisione di porre la fiducia sulla legge elettorale è senz’altro un atto politico forte, perfino discutibile.

Ma dobbiamo anche essere onesti e sappiamo benissimo che, se fosse per il parlamento, non avremmo una nuova legge elettorale nemmeno a questo giro.
Non sono riusciti a farlo prima, perché dovrebbero riuscirci ora?

Discutere va bene, va benissimo.
Poi però si deve trovare una quadra e si deve prendere una decisione.

Lo dice Renzi nella lettera che ha scritto oggi su La Stampa:

Adesso ci siamo: approvata in prima lettura alla Camera, in seconda al Senato, poi in Commissione alla Camera. Discussa in Parlamento e nelle sedi dei partiti. Approvata da Forza Italia nella stessa versione che oggi viene contestata. Modificata più volte, ma adesso finalmente pronta.

Che facciamo? Facciamo altre modifiche per ripartire da capo?

La legge elettorale perfetta esiste solo nei sogni: decidiamo o continuiamo a rimandare?

Mettere la fiducia è un gesto di serietà verso i cittadini.

Se non passa, il governo va a casa. Se c’è bisogno di un premier che faccia melina, non sono la persona adatta. Se vogliono un temporeggiatore ne scelgano un altro, io non sono della partita.

Se poi qualche parlamentare pensa che un voto di fiducia imposto al parlamento sia un atto fascista, e lo pensa veramente, allora non voti la fiducia e mandi a casa il governo.
Ma non prendiamoci in giro.
State facendo finta di fare la guerra a Renzi, non alla legge elettorale.
Di quella non ve ne è mai potuto fregare di meno.

Luca

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Essere contro Renzi, ma non avere idee

A me pare abbastanza strano che la classe politica si preoccupi dell’astensionismo registrato nelle ultime elezioni regionali.
Veniamo da anni in cui abbiamo parlato delle regioni soltanto per commentare scandali, ruberie o corruzioni.
Il messaggio gli elettori lo hanno mandato ai politici regionali, più che al governo.

Poi c’è il renzismo, certo, che ha indubitabilmente messo molti italiani nello stato mentale di pensare: “Va beh, vediamo che cosa riesce a fare, tanto gli altri finora hanno solo rubato”.
Perfino una buona parte di chi aveva votato il Movimento 5 Stelle alle ultime politiche se ne è stato a casa, perché ha capito che Grillo non ha nessuna intenzione di fare alcunché.

Così, gli oppositori di Renzi, che sono soprattutto interni al PD, lanciano allarmi sull’astensionismo, come se questo fosse la fine della democrazia e non piuttosto una precisa scelta dell’elettorato.
Politici come Rosy Bindi, che addirittura cavalcano l’ossessione scissionista di Pippo Civati, dimenticano di fare una semplice riflessione.
Che è questa.

Se il centro-sinistra (non l’Ulivo invocato dalla Bindi che è durato un anno e mezzo) si fosse ripresentato alle ultime elezioni, avremmo probabilmente avuto una astensione minore.
Perché in molti di più sarebbero andati a votare contro il centro-sinistra.

A me pare incredibile che, dopo elezioni che hanno praticamente cancellato i partiti di sinistra dal parlamento, si continui a perseguire un fantomatico spostamento a sinistra dell’asse politico.
Che non vuol dire niente, se non adagiarsi sulle posizioni ottocentesche della CGIL.

Il sindacato del resto ha la caratteristica di rappresentare soltanto i suoi iscritti, che sono una minoranza del paese, tra l’altro molto circoscritta per età e per fascia di reddito.
Un recente sondaggio di Ipsos ha chiarito come il 51% degli italiani si senta rappresentato da Matteo Renzi, mentre soltanto il 28% si senta rappresentato dai sindacati (percentuale curiosamente simile al risultato migliore ottenuto dal PD nell’era post veltroniana).

Insomma, di cosa stiamo parlando?
Carissimi Pippo Civati e Rosy Bindi, siete proprio sicuri di voler uscire dal PD per fare un partito di sinistra?
Siete sicuri che ci sia ancora qualcuno in Italia che abbia voglia di seguirvi lungo una strada che si è dimostrata perdente e che ha permesso a Berlusconi di far finta di governare l’Italia per 20 anni?

Se ne siete sicuri, perseguite quella via.
Però smettete di menarcela ogni giorno con questa litania della morte della democrazia.
E’ dal 1994 che non sentiamo dire altro.

Luca

Foto | Foto Roberto Monaldo / LaPresse