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La guerra si, la guerra no

Sfido chiunque ad amare la guerra.
Oddio qualcuno ci sarà anche.
Ad esempio un signore che prende il mio stesso autobus e sono più di tre anni che lo vedo leggere soltanto riviste militari.
Il mio collega pendolare a parte, credo che siamo tutti d’accordo nel ripudiare la guerra.

Il problema sorge quando una guerra c’è già e noi dobbiamo decidere se fermarla.
C’è un popolo oppresso da un dittatore.
L’ONU, se ancora esiste ed ha un suo senso, non può che prendere una decisione ovvia, che è quella di imporre al dittatore di smettere di bombardare il proprio popolo che chiede più libertà e più diritti.
Il dittatore se ne frega e continua a bombardare la sua gente.

Ecco, facciamo finta di partire da qui.
Non stiamo a dire che la Libia ha il petrolio, che Gheddafi fino ad ieri ci faceva comodo, che ci sono mille altri dittatori nel mondo.
Siamo qui e dobbiamo decidere cosa fare di fronte ad un dittatore che non rispetta una risoluzione dell’ONU e continua a reprimere nel sangue una ribellione interna.

La scelta non è tra la vita e la morte, tra il bene ed il male, tra la pace e la guerra.
Si tratta di scegliere tra un male ed un altro male.
Ci sono persone che moriranno sia che facciamo una scelta, sia che ne facciamo un’altra.

Su, forza!
Fate la vostra scelta.
Il dittatore sta continuando a bombardare.

Luca

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diritti umani

Trova l’incongruenza

Nella didascalia della foto che vedete qui sopra si legge:

Giordania, 2 giugno 2010. Un’attivista kuwaitiana arrestata ed espulsa da Israele

Non lo so, ma a me pare che chi non ha a cuore i propri diritti umani possa difficilmente risultare credibile nella difesa di quelli degli altri.

La storia dell’assalto alle navi “pacifiste” è purtroppo, o per fortuna, meno lineare di quanto sembrasse all’inizio.
Sono morte nove persone, e questa è l’unica cosa chiara.
In quella nave c’era gente a cui stava sicuramente a cuore la liberazione della Palestina.
La pace no di sicuro.
La non violenza meno che mai.

Almeno non a tutti.

Luca

Via | Internazionale

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La guerra è sbagliata perfino quando è utile

Dopo il video “Collateral Murder” si è riacceso tutto un dibattito su “guerra si-guerra no”, “obama si-obama no”, “usa si-usa no”, ma soprattutto “pacifismo si-pacifismo no”.

Finisce che inizi a pensare alla tua idea di pace.
In passato hai pensato che la guerra fosse inutile.
Hai capito che non lo è, visto che, ad esempio, risulta difficile dire che la seconda guerra mondiale sia stata inutile.
Quindi pensi che non tutte le cose utili siano giuste.
Le guerre, perfino quella in Iraq o in Afghanistan, potranno forse risultare utili, chissà?
Ma resteranno di sicuro sbagliate.

Non si può vedere dei soldati sparare dall’alto del loro elicottero super tecnologico a dei bambini seduti dentro un furgoncino e pensare che quello che fanno sia giusto.
Non c’è un motivo al mondo per poter pensare che lo sia.
Ed in tempo di pace nessuno proverebbe a trovare delle giustificazioni per questo gesto.

collateral murder

I nostri 60 anni vissuti in pace non potranno mai indurci a pensare che sia stato giusto veder morire milioni di persone in una guerra mondiale.
Ciò che è utile non è detto che sia giusto.

Penso che la prossima volta che qualcuno mi dirà che essere pacifisti significa essere degli ingenui sognatori gli rivenderò questa mia idea di pace, o per meglio dire di guerra:

La guerra è sbagliata perfino quando è utile.

Luca

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La mia idea di pace

E’ partita la campagna per il tesseramento 2010 ad Emergency.

Luca

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Ci sono guerre giuste?

Il buon Obama è andato a ritirare il suo premio Nobel per la Pace.
Ha fatto un bel discorso, soprattutto quando ha ammesso di non avere avuto il tempo per meritare il premio:

Sarei negligente se sorvolassi sulle forti polemiche che ha suscitato la vostra generosa decisione. In parte queste polemiche nascono dal fatto che io sono all’inizio, e non al termine, delle mie fatiche. A confronto di alcuni dei giganti della storia che hanno ricevuto questo premio – Schweitzer e King, Marshall e Mandela – i miei successi sono poca cosa. E poi ci sono gli uomini e le donne in tutto il mondo che vengono incarcerati e picchiati perché cercano giustizia, ci sono quelli che lavorano duramente nelle organizzazioni umanitarie per alleviare le sofferenze, ci sono quei milioni senza nome che con i loro atti silenziosi di coraggio e di compassione sono di ispirazione anche per il più cinico degli individui. Non posso contestare le ragioni di chi sostiene che questi uomini e queste donne – alcuni noti, altri sconosciuti a chiunque tranne che a quelli che ricevono il loro aiuto – meritano questo riconoscimento molto più di quanto non lo meriti io.

Nel resto del discorso ha tentato di spiegare come le guerre possano essere giuste e che le due in cui sono impegnati gli USA lo siano:

Dunque sì, gli strumenti della guerra contribuiscono a preservare la pace. Ma questa verità deve coesistere con un’altra, e cioè che la guerra, per quanto giustificata possa essere, porterà sicuramente con sé tragedie umane. C’è gloria nel coraggio e nel sacrificio di un soldato, c’è l’espressione di una devozione per il proprio Paese, per la causa e per i commilitoni. Ma la guerra in sé non è mai gloriosa e non dobbiamo mai sbandierarla come tale.

La nostra sfida dunque consiste in parte nel riconciliare queste due verità apparentemente inconciliabili. La guerra a volte è necessaria e la guerra è, a un certo livello, espressione di sentimenti umani. Concretamente, dobbiamo indirizzare i nostri sforzi al compito che il presidente Kennedy invocava molto tempo fa. “Concentriamoci”, diceva lui, “su una pace più pratica, più raggiungibile, basata non su un improvviso capovolgimento della natura umana, ma su una graduale evoluzione delle istituzioni umane.

Qui Obama diventa molto meno credibile, soprattutto quando dice che sarebbe giusto che tutte le nazioni si dessero delle regole per l’uso della forza, ma gli USA possono comunque fare come vogliono:

Tutte le nazioni, sia le nazioni forti che le nazioni deboli, devono aderire a dei parametri per regolare l’uso della forza. Io, come ogni capo di Stato, mi riservo il diritto di agire unilateralmente, se necessario, per difendere la mia nazione. Resto tuttavia convinto che aderire a delle regole sia qualcosa che dà maggior forza a chi lo fa e che isola – e indebolisce – chi non lo fa.

Insomma, la politica militare di Obama è ancora la cosa che più mi separa da lui.
Non dimentichiamoci mai però chi c’era prima di lui e quanto siamo andati avanti in nemmeno un anno di presidenza.

Luca