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Non avevamo alcuna possibilità, ma ci siamo divertiti

Ormai più di un mese fa, in seguito alla scomparsa di Giuseppe Granieri, uno dei primi veri esperti di digitale in Italia, è nato un piccolo dibattito tra quelli che furono i veri pionieri della rete sociale in Italia, negli anni zero.

Sergio Maistrello ha proposto una riflessione, chiedendosi se spendere tanto tempo, energie e sogni nel provare a realizzare una comunità digitale avanzata, libera e ricca culturalmente, ne fosse valsa la pena.

A chi in quegli anni non c’era (io, marginalmente, c’ero, tanto che questo blog fra poco compirà 20 anni), bisogna spiegare un attimo i presupposti.
All’inizio degli anni duemila iniziò a diffondersi anche in Italia la rete internet, con abbonamenti ad un prezzo abbordabile, che consentirono, a chi avesse un minimo di affinità con la tecnologia, di affacciarsi ad una finestra da cui era possibile vedere tutto il mondo, accedere a tantissimi contenuti, leggere di tutto, ascoltare musica, vedere foto, accrescere il proprio sapere.
Da quella stessa finestra, per chi ne avesse avuto la voglia o la capacità, era ovviamente possibile proporre i propri di contenuti e condividerli con chiunque.

Fu una boccata d’aria incredibile, si aprì un orizzonte immenso ed inesplorato che permetteva a chiunque, dotato di un PC e di un modem a 56k, di comunicare con chiunque e di far leggere i propri contenuti a chi fosse disposto a farlo.

Nacquero le prime piattaforme di blogging ed improvvisamente potemmo tutti scrivere cose nostre, farle leggere ad altri, intavolare discussioni, confrontarsi, crescere insieme agli altri.

La chiamavamo la Blogosfera, ma altro non era che una comunità di persone, di menti, di idee, che si parlavano tra loro, in un circolo abbastanza chiuso, ma sufficientemente aperto ad accogliere nuovi ingressi.

Eravamo tutti molto partecipi, felici della nostra comunità e tristi perché i limiti tecnologici (il digital divide!) e culturali frenavano la maggior parte delle persone dal partecipare a questa nuova comunità di intelligenze.
Sognavamo il giorno in cui internet sarebbe costata meno, in cui la connessione veloce avrebbe raggiunto ogni centro abitato di questo pianeta, in cui la connessione in mobilità sarebbe diventata più stabile, permettendo a tutti di comunicare le proprie idee con il resto dell’umanità.
Lo sognavamo così tanto che, quando quel giorno è arrivato, è, rapidamente, finito tutto.

Quel giorno è arrivato nel 2007 quando, in pochi mesi, sono tutti corsi nei negozi di elettronica a comprare un computer nel quale si “potesse vedere Facebook”.
C’erano altri social, c’erano già Twitter e Friendfeed, quest’ultimo che ebbe un successo enorme in Italia, su cui si applicarono quasi tutti quelli che componevano la Blogosfera, c’era MySpace, ce ne erano altri.
Ma erano tutte ancora piccole nicchie, riservate ai pochi impallinati che frequentavamo la rete.
Con Facebook fu diverso, perché fu scelto, dopo un annetto di rodaggio, da tantissime persone che erano completamente digiune di cultura digitale, che non avevano nessuna memoria della rete prima dei social network e, è perfino inutile sottolinearlo, buttarono tutto in caciara.

Avevamo aspettato per anni che la rete si riempisse di persone che, gli ideali della condivisione delle idee e delle esperienze, diventassero patrimonio di tutti, ma, quando successe, noi pionieri della prima ora ci trovammo spesati, impauriti ed incapaci di tenere testa a tutte quelle persone che si apprestavano ad usare uno strumento di cui non conoscevano nulla.

Fu li che noi blogger, abitanti della rete vari ed amanti di internet, perdemmo la guerra.

Ci stavamo accorgendo che quello che sognavamo non si stava realizzando, che tutte quelle persone stavano pian pianino sgretolando i presupposti della comunità che aveva abitato la rete per tanti anni.
Ce ne stavamo accorgendo, ma li lasciammo fare.

Li lasciammo fare perché non avevamo nessuna possibilità di vincere, perché la forza delle idee non poteva far niente contro la forza dei preconcetti, dell’ignoranza, del pressapochismo.

Noi, che potevamo spiegare ai nuovi arrivati, come funzionano le bolle social, rimanemmo prigionieri della nostra di bolle; rimanemmo lì, al calduccio, mentre fuori infuriava la bufera che avrebbe presto distrutto anche il nostro riparo.

Ci siamo arresi quasi subito, combattendo poco e lasciando il campo ai nuovi arrivati, guidati dalle piattaforme, non più dai contenuti.

Non potevamo vincere, non l’avremmo potuto fare.
Poi è stato tutto diverso e, ripensare a quegli anni, fa venire la voglia di provare a riprendere quel percorso iniziato più di venti anni fa.
Percorso iniziato e troppo frettolosamente abbandonato.

Ma sono stati anni ricchi, siamo cresciuti, ci siamo fatti conoscere.
E ci siamo divertiti.
Tanto.

Luca

Anche Massimo ha scritto un contributo interessante.

Immagine | Rappresentazione della Blogosfera Italiana fatta da Nova24 nel 2006

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vivere

Siamo stati almeno una volta quelli che

Avevo già detto qualcosina qualche tempo fa sulla violenza contro le donne.
Oggi Francesco Piccolo ha scritto su Repubblica una cosa molto bella per i maschi e sui maschi.
Ha, purtroppo e tristemente, molta ragione.

Siamo stati almeno una volta (e anche di più) nella vita quello che urlava sopra, che non faceva parlare, che doveva parlare prima lui; quello che spiegava come bisogna comportarsi, o come fare una cosa, o addirittura come bisogna vivere; quello che ha cercato di imporre il suo ruolo, quello che si è incazzato di più perché sapeva di avere torto; quello che non ha accettato che si amasse un altro uomo (non ha accettato è poco). Quello che si ricorda che aveva ragione anche due mesi dopo, e chiama, e dice: hai visto che avevo ragione? Quello che quando parla a una riunione si rivolge agli altri uomini. Quello che si dimentica come si chiama la collega. Quello che manda messaggi ambigui per tutta la vita. Quello che sul treno si sente in dovere di rivolgere la parola a una donna che siede di fronte solo perché è carina, e non riuscirebbe a tornare a casa senza averlo fatto. Quello che si appropria delle idee delle altre, disinvoltamente. Eccetera, eccetera, eccetera.

Luca

Foto | Cartoon Movement

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diritti umani

Solidarizzare con tutti, essere dalla parte di nessuno

Oggi Francesco Costa nella sua puntata giornaliera di Morning, riguardo alla guerra tra Israele ed Hamas, invitava a solidarizzare con le vittime israeliane e palestinesi, senza per forza schierarsi con gli uni o con gli altri.

Questa è un po’ la mia posizione da sempre sul conflitto Israele-Palestina.

Perché è evidente a tutti che né il governo israeliano, né Hamas vogliono una soluzione pacifica.
La soluzione dei due stati è ormai una ipotesi infattibile, in un panorama in cui entrambi i contendenti vogliono soltanto la distruzione del nemico.

Di chi sia la colpa, chi abbia iniziato prima, chi abbia più o meno ragione, non conta più nulla.

Possiamo soltanto solidarizzare con i civili israeliani uccisi, con gli israeliani rapiti e che verranno probabilmente giustiziati da Hamas, e con i palestinesi assediati, affamati e bombardati da Israele.

In giorni in cui tutti provano a schierarsi con gli uni o con gli altri, decidendo chi abbia ragione e chi abbia torto, credo che la cosa più utile sia non schierarsi con nessuno dei due e stare soltanto dalla parte delle vittime di entrambi.

Luca

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diritti umani

Il silenzio non è assenzo

È sempre imbarazzante parlare di violenza sulle donne, quando a farlo è un uomo.
Molti di noi uomini viviamo questo tema come se fosse estraneo a noi, come se dovessimo parlare di mestruazioni o di gravidanza.
Non ci riguarda.
Noi del resto siamo brave persone, non toccheremmo una donna con un dito o, come diceva un proverbio che mi declamava mia nonna quando mi azzuffavo con mia sorella:
“Una donna non si tocca neanche con un fiore”.

Eppure non è così, lo sappiamo bene che non è così.
Perché quella che in molto definiscono “cultura dello stupro” è qualcosa che ci sta dentro, a livello culturale, da cui non possiamo sentirci esclusi.

Succedono poi casi di cronaca, come quello di Palermo che, nella loro brutalità, ci fanno ritornare a pensare a noi, a come noi uomini siamo stati cresciuti, a quale visione dell’uomo e della donna abbiamo assimilato.

Sui social molte donne in questi giorni lamentano il fatto che nelle storie e nei post, sono pochissimi gli uomini ad aver preso posizione sul tema.
Ecco allora il mio contributo.

La prima cosa che verrebbe da dire è che non c’è niente da dire di fronte ad un atto di tale bestialità.
Eppure qualcosa da dire c’è.
Perché se un gruppo di uomini (smettete di chiamarli ragazzi) decide di portare in un luogo isolato una ragazza ubriaca e di abusare di lei, allora mi viene da chiedere com’è che, su sette uomini presenti, nessuno si sia messo di mezzo, abbia provato a far ragionare gli altri.
Sappiamo tutti quanto siano devastanti per il libero arbitrio le dinamiche del branco, ma se l’arbitrio è libero, allora ognuno è responsabile, non solo degli atti che fa, ma anche di quelli che non impedisce che facciano gli altri.

Se non mi fermo a soccorrere una persona vittima di un incidente stradale e posso essere incriminato per omissione di soccorso, allora, a maggior ragione, se partecipo ad una violenza, sono responsabile a tutti gli effetti.

Amnesty International, come tante altre associazioni sta portando avanti una campagna sul tema del consenso perché, la nostra cultura patriarcale maschilista, è inutile nasconderci, ci porta a considerare il corpo della donna un po’ come una cosa nostra.

amnesty consenso 2

Per cui, se una ragazza si veste in modo provocante, evidentemente è in cerca di un uomo con cui fare del sesso e quest’uomo si sentirà assolto dal fatto di aver visto un corpo evidentemente a sua disposizione.
Sono meccanismi culturali difficili da scardinare che, i più avveduti combattono, mentre gli uomini meno senzienti cavalcano, sentendosi giustificati a disporre del corpo delle donne, anche quando sono ubriache e quindi non capaci di intendere e di volere.

In tutto questo, come sempre, il ruolo degli adulti non è quello di fare ramanzine, ma di dare il buon esempio.
Amando e rispettando le donne, permettendo loro di essere padrone del loro corpo e delle loro scelte, ammirando le loro capacità e rispettando la loro libertà, anche sessuale.
Tutto molto bello, ma tutto molto difficile da mettere in pratica in una società in cui siamo stati abituati a leggere la realtà in modo del tutto diverso, tutto incentrato e focalizzato sulla dominanza del maschio.

Quindi, l’unica cosa da fare, come sempre è quella di provare ad essere brave persone, bravi ragazzi, bravi uomini, bravi compagni.
Tutto il resto, dalla castrazione chimica tanto cara ai fasci, al “buttiamo via la chiave”, al “se lo facessero a mia figlia li ucciderei tutti”, non serve a niente, serve solo ad avvelenare i pozzi e ci impedisce di pensare lucidamente.

Indigniamoci meno e comportiamoci meglio.
Da oggi, da ora, da subito.

Luca

Immagini | Amnesty International

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vivere

Pensierino di fine anno

È stato un anno strano per molti di noi, che siamo tornati alla normalità, ma non senza un disagio di fondo che il lungo periodo di lock down ci aveva lasciato dentro.
Ci siamo ributtati nella vita di prima, facendo fatica a riprendere un passo che ci rendevamo conto di non riuscire più a tenere.
La tentazione, sempre forte, di ritornare nella nostra grotta, di rinunciare a quella libertà che tanto ci era mancata.
Buttarsi sul lavoro, riempiendo il tempo con le cose urgenti da fare, poche volte con le cose importanti da portare avanti.

Questi dieci minuti di Mario Calabresi al TEDx di Milano mi hanno fatto pensare.

Lui dice che le cose importanti sono facili da riconoscere:

Le cose importanti sono quelle che se non le facciamo avremo un rimpianto.

Se avete tempo, ascoltatelo.
Magari, anche a voi, verrà voglia di scrivere un fogliettino la domenica sera da tenere in tasca tutta la settimana.

Luca