Simone Moro, uno dei più forti alpinisti italiani, si sta preparando a scalare il Nanga Parbat.
Sarebbe la prima scalata invernale di una delle montagne più alte ed insidiose della terra.
Ieri l’ottimo Matteo Zanga, fotografo della missione, ha scattato questa foto alla parete Diamir del Nanga Parbat.
Siamo i primi ad amare la montagna, l’alpinismo e tutto ciò che vi ruota intorno. Lo dimostriamo tutti i giorni, nel bene e nel male, raccontando le loro storie. Lungi da noi l’intenzione di dar corda a chi usa l’infelice espressione della “montagna assassina” o a chi vede gli alpinisti come dei pazzi suicidi. Ma nei giorni scorsi ci siamo chiesti se non esista un limite.
La risposta a chi si sta domandando se non stiamo esagerando sono questi nomi. Tomaz Humar, Michele Fait, Roby Piantoni, Max Schivari, Serguej Samoilov, Oscar Perez, Piotr Morawski, Franc Oderlap, Cristina Castagna, Wolfgang Kolblinger, Go Mi Sun. E altri ancora. Non è la formazione dell’ultimo “dream team” diretto in Himalaya. Ma l’elenco dei morti degli ultimi mesi. Mesi, non anni.
Insomma, c’è chi pensa che sarebbe ora di ritornare un po’ indietro e rinunciare allo stile alpino duro e puro, quello di Messner e degli altri grandi.
Perché quando iniziano a morire come mosche, non gli alpinisti improvvisati, ma i migliori, allora forse è il segnale che siamo arrivati al limite ed è meglio rinunciare ed iniziare la discesa.
Insomma, portarsi un medico al campo base od utilizzare la tecnologia non sono segni di debolezza, ma di amore per la vita.