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Ci sono guerre giuste?

Il buon Obama è andato a ritirare il suo premio Nobel per la Pace.
Ha fatto un bel discorso, soprattutto quando ha ammesso di non avere avuto il tempo per meritare il premio:

Sarei negligente se sorvolassi sulle forti polemiche che ha suscitato la vostra generosa decisione. In parte queste polemiche nascono dal fatto che io sono all’inizio, e non al termine, delle mie fatiche. A confronto di alcuni dei giganti della storia che hanno ricevuto questo premio – Schweitzer e King, Marshall e Mandela – i miei successi sono poca cosa. E poi ci sono gli uomini e le donne in tutto il mondo che vengono incarcerati e picchiati perché cercano giustizia, ci sono quelli che lavorano duramente nelle organizzazioni umanitarie per alleviare le sofferenze, ci sono quei milioni senza nome che con i loro atti silenziosi di coraggio e di compassione sono di ispirazione anche per il più cinico degli individui. Non posso contestare le ragioni di chi sostiene che questi uomini e queste donne – alcuni noti, altri sconosciuti a chiunque tranne che a quelli che ricevono il loro aiuto – meritano questo riconoscimento molto più di quanto non lo meriti io.

Nel resto del discorso ha tentato di spiegare come le guerre possano essere giuste e che le due in cui sono impegnati gli USA lo siano:

Dunque sì, gli strumenti della guerra contribuiscono a preservare la pace. Ma questa verità deve coesistere con un’altra, e cioè che la guerra, per quanto giustificata possa essere, porterà sicuramente con sé tragedie umane. C’è gloria nel coraggio e nel sacrificio di un soldato, c’è l’espressione di una devozione per il proprio Paese, per la causa e per i commilitoni. Ma la guerra in sé non è mai gloriosa e non dobbiamo mai sbandierarla come tale.

La nostra sfida dunque consiste in parte nel riconciliare queste due verità apparentemente inconciliabili. La guerra a volte è necessaria e la guerra è, a un certo livello, espressione di sentimenti umani. Concretamente, dobbiamo indirizzare i nostri sforzi al compito che il presidente Kennedy invocava molto tempo fa. “Concentriamoci”, diceva lui, “su una pace più pratica, più raggiungibile, basata non su un improvviso capovolgimento della natura umana, ma su una graduale evoluzione delle istituzioni umane.

Qui Obama diventa molto meno credibile, soprattutto quando dice che sarebbe giusto che tutte le nazioni si dessero delle regole per l’uso della forza, ma gli USA possono comunque fare come vogliono:

Tutte le nazioni, sia le nazioni forti che le nazioni deboli, devono aderire a dei parametri per regolare l’uso della forza. Io, come ogni capo di Stato, mi riservo il diritto di agire unilateralmente, se necessario, per difendere la mia nazione. Resto tuttavia convinto che aderire a delle regole sia qualcosa che dà maggior forza a chi lo fa e che isola – e indebolisce – chi non lo fa.

Insomma, la politica militare di Obama è ancora la cosa che più mi separa da lui.
Non dimentichiamoci mai però chi c’era prima di lui e quanto siamo andati avanti in nemmeno un anno di presidenza.

Luca