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Il commento migliore sulla condanna di Google l’ha fatto Google stesso, con questo comunicato che riporto integralmente.

A fine 2006, alcuni studenti di una scuola di Torino si sono filmati mentre maltrattavano un compagno di classe affetto da autismo e hanno caricato il video su Google Video. Vista la natura assolutamente riprovevole del video, è stato rimosso a distanza di poche ore dalla notifica della Polizia. Abbiamo inoltre collaborato con la polizia locale per l’identificazione della persona che lo ha caricato, che è stata poi condannata dal Tribunale di Torino a 10 mesi di lavoro al servizio della comunità, e con lei diversi altri compagni di classe coinvolti. In casi come questo, rari ma gravi, è qui che il nostro coinvolgimento dovrebbe finire.

In questo caso, tuttavia, la Procura di Milano ha deciso di incriminare quattro dipendenti di Google – David Drummond, Arvind Desikan, Peter Fleischer and George Reyes (che ha lasciato l’azienda nel 2008) – con accuse di diffamazione e mancato rispetto del codice italiano della privacy. Per essere chiari, nessuno dei quattro Googlers incriminati ha avuto niente a che fare con questo video. Non vi erano rappresentati, non lo hanno ripreso, caricato o rivisto. Nessuno di loro conosceva le persone coinvolte e non hanno saputo dell’esistenza di questo video fino a quando non è stato rimosso.

Nonostante questo, oggi un giudice del Tribunale di Milano ha condannato tre dei nostri quattro colleghi – David Drummond, Peter Fleischer e George Reyes – per mancato rispetto del codice Italiano della privacy. Tutti e 4 sono stati dichiarati non colpevoli delle accuse di diffamazione. In sostanza questa decisione significa che i dipendenti di piattaforme di hosting come Google Video sono penalmente responsabili per i contenuti caricati dagli utenti. Faremo appello contro questa decisione che riteniamo a dir poco sorprendente dal momento che i nostri colleghi non hanno niente a che fare con il video in questione. Riteniamo, anzi, che durante l’intero processo abbiano dato prova di grande coraggio e dignità; il semplice fatto che siano stati sottoposti ad un processo è eccessivo.

C’è un’altra importante ragione, però, per la quale siamo profondamente turbati da questa decisione: ci troviamo di fronte ad un attacco ai principi fondamentali di libertà sui quali è stato costruito Internet. La Legge Europea è stata definita appositamente per mettere gli hosting providers al riparo dalla responsabilità, a condizione che rimuovano i contenuti illeciti non appena informati della loro esistenza. La motivazione, che condividiamo, è che questo meccanismo di “segnalazione e rimozione” avrebbe contribuito a far fiorire la creatività e la libertà di espressione in rete proteggendo al contempo la privacy di ognuno. Se questo principio viene meno e siti come Blogger o YouTube sono ritenuti responsabili di un attento controllo di ogni singolo contenuto caricato sulle loro piattaforme – ogni singolo testo, foto, file o video – il Web come lo conosciamo cesserà di esistere, e molti dei benefici economici, sociali, politici e tecnologici ad esso connessi potrebbero sparire.

Si tratta di questioni di principio importanti, ed è per questa ragione che continueremo a sostenere i nostri colleghi in tutto il percorso dell’appello.

Il commento migliore lo ha fatto Akille:

Ora è arrivata la sentenza per i dirigenti di Google. Si parla di 6 mesi di reclusione per “non aver impedito la pubblicazione del video”. Guardando tra gli articoli correlati di Repubblica ho scoperto che invece i “protagonisti”, quelli che il video l’hanno girato, pubblicato e reso possibile, hanno avuto un anno di sospensione a scuola.

Il titolo che da sé spiega tutto, l’ha fatto invece TechCrunch:

Can someone tell this Italian Judge what YouTube is?
(Qualcuno può dire a questo giudice italiano che cosa è YouTube?)

Ovviamente la figura di merda è colossale e tutto il mondo parla (male) di noi.

Luca

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diritti umani

Si chiama anatomia, Grimoldi, anatomia

Stamattina ho letto la notizia dell’interrogazione presentata al Ministro dell’Istruzione da un deputato leghista che, sollecitato da alcuni genitori, avrebbe richiamato l’attenzione su una parte del Diario di Anna Frank che sarebbe troppo scabrosa per essere letta da bambini delle elementari.

Mi sono chiesto che cosa avesse scritto Anna Frank di tanto scabroso.
Nella lettera che Anna Frank scrive il 24 Marzo 1944 c’è una descrizione piuttosto minuziosa che la ragazza fa dei propri organi genitali (ho trovato solo una versione inglese del brano).

Quella che il deputato leghista chiama “parti intime” si chiama vulva ed è la parte esterna degli organi genitali femminili.
Roba talmente scabrosa da apparire in qualsiasi libro di anatomia.

Anna Frank, come qualsiasi ragazza, guardava il proprio corpo.
Vedere in questa descrizione qualcosa di cui vergognarsi con i bambini fa dubitare dell’intelligenza di Paolo Grimoldi e dei genitori che lo hanno sollecitato ad interrogare il Ministro.

Massimo Gramellini è più buono di me:

Ma non voglio farne colpa all’onorevole Grimoldi o ai genitori degli allievi della scuola elementare di Usmate Velate, in provincia di Monza, che gli avrebbero segnalato il gravissimo caso. Sono vittime anch’essi di quella incapacità di cogliere il senso complessivo di un evento o di un’opera, arrestandosi davanti al particolare scabroso o semplicemente irrituale, che chiamerei la sindrome del divano. Il divano è la normalità, il simbolo di un’esistenza tranquilla da abitare in tinello, dopo avere chiuso la porta a doppia mandata. La tv fa parte dello stesso tinello in cui si trova il divano: la sua volgarità è rassicurante, indigna e spaventa di meno.

A indignare e spaventare sono la diversità, l’originalità, l’imprevisto: tutto ciò che distrae dalle certezze sedimentate e perciò va rifiutato e rimosso. Gli occhiali che si indossano davanti al divano assomigliano alle lenti dei microscopi: magari di un capolavoro non afferreranno l’essenza, ma ne coglieranno sempre la riga fuori posto.

Luca

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politica religione

Occhio agli alleati che vi scegliete

lottastudentesca

Lotta Studentesca, il movimento giovanile neofascista vicino a Forza Nuova, ha fatto irruzione nella sede dei Radicali Italiani.
Il Coordinatore nazionale di Lotta Studentesca Gabor De Arcangelis ha dichiarato:

Non permetteremo a nessuno di imporre dogmi ultralaicisti in Italia e chi tenterà di rimuovere il crocefisso si troverà di fronte un muro umano guidato da Lotta Studentesca. Con questa iniziativa lanciamo ufficialmente la campagna per riportare i crocifissi nel nostro paese, non solo nelle scuole ma anche negli edifici pubblici.

Mi auguro che la CEI su questa storia del crocifisso non si intestardisca nell’ennesima battaglia già persa in partenza.

Luca

Via | Francesco Costa

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religione

Croci finlandesi

Mi segnalano questa riflessione sul crocifisso.
E’ un articolo di Michele Zanzucchi su Cittanuova.
Occhio sono Focolarini e sono molto pericolosi.

Detto questo, se guardiamo le cose da un altro punto di vista, bisogna costatare come i simboli religiosi, e cristiani in particolare, abbiano una “qualità” supplementare, che ci interpella non poco: anche se li si cancellano esteriormente, restano presentissimi nella vita dei cristiani, «crocifissi che parlano e camminano», diceva Thomas Merton. Lo testimoniano i cristiani di Nagasaki, che per secoli hanno continuato a professare la loro fede nelle montagne, pur senza nessuna manifestazione pubblica. Lo testimoniano le babuske russe che sotto il comunismo hanno perpetuato la fede cristiana pur in mezzo alla trasformazione delle chiese in magazzini per il grano. Lo testimoniano i cristiani come Bonhoeffer che, sotto il nazismo, hanno saputo rendere pregnante la loro fede. Il fatto è che il problema “culturale” nel fondo nasconde il problema della (scarsa) testimonianza dei cristiani europei: «C’è bisogno di crocifissi vivi», come diceva Madre Teresa di Calcutta, non di «crocifissi anneriti in fondo ad un armadio», come scriveva Margherite Yourcenar.

p.s. Ci scrive stamani con arguzia e con ragione un nostro lettore, Ciro Rossi: «Mi domando se la signora di origini finlandesi che ha chiesto la rimozione del crocifisso da una scuola italiana abbia chiesto al governo del suo Paese di togliere il simbolo della croce dalla bandiera nazionale»

finlandia

Luca

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vivere

Sarà che è Lunedì

Mentre eravamo imbottigliati nel traffico di Bogotà Firenze guardavo un gruppo di bambini che si stava dirigendo verso scuola.
Erano quasi tutti dotati di zainetti-trolley, quelli che hanno anche le ruote.
Coloratissimi.
Gormiti, Ben 10, Winx ed Hello Kitty.
Ma pur sempre trolley.

Me li vedevo già ometti in giacca e cravatta che si dirigono in aeroporto per un incontro di lavoro.
Mi hanno messo malinconia.

Sarà che è Lunedì.

Luca