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Un buon proposito, forse anche mio, per il 2014

Tra i tanti propositi per il nuovo anno pubblicati in questi giorni sulla rete, mi è piaciuto molto quello di Simone Spetia, giornalista di Radio 24, che nel 2014 ha detto che rinuncerà in parte alla sua attività sui social per dedicarsi un po’ di più allo studio ed all’approfondimento.

I social network, la rete, hanno una capacità di ampliare questa conoscenza in maniera smisurata, di darti nuovi spunti e nuove prospettive. Devo conservarli come fonte di notizie, come stimolo per pensieri laterali, diversi, non convenzionali, come osservatorio sulle persone, non come proiezione del mio ego. Troppo spesso, in questi ultimi mesi, mi sono abbandonato ad un uso di questo secondo genere, come se potessi essere un maitre a penser di chissà quale tipo (de sto cazzo, direbbe qualcuno).

Per farla breve, ho sprecato tempo, che ora voglio dedicare a studiare. So troppo poco, voglio sapere di più, per fare il mio lavoro in maniera migliore e con maggiore profondità. E’ una settimana che non scrivo un tweet e in questa settimana ho letto un libro che mi interessava molto con una certa tranquillità, il che mi ha fatto venire altre idee di lettura che mi terranno parecchio occupato.

Sarà che fra poco entrerò anch’io nei quaranta, ma la scelta di Simome Spetia mi ha solleticato.

a ridosso dei quarant’anni non ricomincerò a giocare a tennis, non andrò a correre, non mi ficcherò in una palestra, ma ricomincerò un allenamento mentale che ho lasciato da parte per troppo tempo.

Visto che pure io non ho nessuna intenzione di iniziare a correre o ad andare in bicicletta, chissà che non mi rimetta a studiare un po’ di più.

Luca

Immagine | DocNomad

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Capire #letroiedellamiascuola

Negli ultimi giorni si è parlato molto del bullismo sui social network e si è molto commentato il fatto che fosse trending su twitter l’hastag (traducetelo pure con “argomento”) #letroiedellamiascuola.

Adolescenti che parlano apparentemente male delle loro compagne, che le mettono all’indice, che le bullano.

@AsinoMorto ha scritto una cosa molto bella che ci aiuta a capire cosa ci sia dietro questi fenomeni e la verità è che probabilmente non ci abbiamo capito nulla.
E’ un po’ lungo, ma ve lo consiglio.

Grande movimento in queste ore su Twitter, dove sta “spopolando” il tag #letroiedellamiascuola, sparato nei Topic Trend dalla solita tetragona coesione dei Bimbiminkia.

E se non conoscete il significato delle parole (nell’ordine) Twitter, spopolare, tag, Topic Trend, bimbiminkia, mi dispiace per voi, temo che non troverete nessuna spiegazione in questo post.

Sono però convinto che tutti sappiate cosa significa “troia” e quindi forse è da qui che bisogna partire. Perché, temo, il rischio è che alla parola “troia” tutto rischi di finire.

Perché, temo, tutti gli adulti che si trovavano su Twitter e hanno letto “troia”, hanno immediatamente derivato dall’uso del termine, poco corretto, irrispettoso della parità di genere, volgare e rozzo, che si trattasse di: bullismo (anche alla luce di recenti e tragici fatti di cronaca), misoginia, uso distorto della rete che richiede “cultura digitale”, scarsa fiducia nel futuro causa generazione di disgraziati e via (e)scatologicamente elencando.

Dove qui per “immediatamente”, si intende con grande senso civico, in buona fede, assai attenti al futuro della gioventù, ma senza leggere i tweet e senza provare a capire la questione, prima di giudicarla.

E io che da fortunato padre di tre figlie, una delle quali di età giusta per fare la bimbaminkia, ho il dovere e la necessità di capire se mia figlia è/sarà una troia o è/sarà una che sulle troie twitta o è/sarà qualcos’altro, mi sono impegnato e ho provato a capire un po’ di più, avendo abbandonato da tempo l’ansia del giudizio, che basta e avanza lo sforzo del capire.

E insomma, quello che credo di avere capito è che qui non è tanto questione di bullismo o misoginia. Se mai possibile, è peggio.

Perché questa è una questione di ragazze contro ragazze (a far partire il trend è stata una ragazzina di terza media) e i maschi sono come in “Speriamo che sia femmina”, nel senso che arrivano, dicono qualche stronzata e poi vanno via, senza lasciare traccia.

E’ uno scontro tutto al femminile tra le “troie”, che sono le vincenti emule dei modelli consumistici e televisivi, corrotti e volgari del nostro tempo. Che hanno capito o, meglio, hanno cominciato a percepire, il potere del sesso come merce, del corpo come merce. E si truccano “con tanta terra da coltivarci la verdura”, ostentano griffe “come se andassero a una sfilata”, fanno vedere le tette, “vanno con tutti” per quello che vuol dire la frase a 12-13-14 anni, se è vero che tutte si vedono costrette a simulare con la carta seni che non hanno ancora.

Sono le vincenti, le cheer leaders, sono quelle che aspirano a diventare veline, fidanzate di calciatori, puttane di potenti. Sono il mondo che vedono trasparire dai nostri occhi di adulti che contamina la scoperta della loro sessualità.

E dall’altra parte, altre ragazzine come loro ma diverse da loro, quelle che “escono da scuola e si mettono le cuffie” per ascoltare i loro idoli, che non le “caga” nessuno, che credono nell’amore e non si vestirebbero mai con “pantaloni militari” e con magliette scollate “quando fuori ci sono 5 gradi”. Le perdenti, quelle che non hanno nemmeno dato il primo bacio. Le sfigate. Quelle che vanno prese per il culo e “fatte sentire inferiori”.

E allora capita che le sfigate si ribellino e lo facciano su Twitter che da voce alla loro frustrazione e nel modo peggiore, scaricando stereotipi di segno diverso e volgarità analoghe sulle loro compagnie. Senza la capacità di dare un senso “politico” alla loro opposizione al modello imperante, senza dare alternative, un po’ invidiando le nemiche.

Senza nemmeno la cautela di scegliere la parola giusta. Che se il tag era #levelinedellamiascuola, o #leragazzeomologatedellamiascuola, o magari #leservedelpoteredellamiascuola, forse adesso tanti adulti pigri parlerebbero di gioventù ribelle ma consapevole, il futuro del 99%, Twitter come sfogo di una generazione con la testa sulle spalle.

E invece no, la ragazzina di terza media usa la parola “troia” perché è quella che si usa in questi casi e lei non vuole parlare con voi adulti, che non capite un cazzo, ma con le sfigate come lei.

E allora il problema vero, forse, credo di avere capito, è che sono tutte vittime, senza una alternativa, mica giudicare, ma tipo guarda che non sei sfigata e loro non sono troie, il mondo è migliore di così, il tuo futuro sarà migliore di così. La parità di genere, il cervello, il diritto di usare le parole con cautela, perché le parole sono importanti.

Il problema vero è che quelle ragazze sono sole in questi tempi limacciosi e confusi. E allora gridano quando e dove possono, scaricando le tonnellate di volgarità e contraddizione e merda del nostro tempo su un tag e vaffanculo troia.

E noi adulti, noi educatori, noi sempre pronti al giudizio e alla puzza sotto il naso che facciamo ? Sono (cyber)bulle, sono misogine, sono il futuro perduto, vergognatevi, ai nostri tempi.

E Twitter. Che schifo, non sapete usarlo, ci vuole la netiquette, mica come noi adulti che lo usiamo per scambiarci le grasse cazzate della domenica pomeriggio e il WTF e il LOL da adolescenti mal cresciuti e il livore qualunquista e la misoginia quella vera e i mille altri pregiudizi di cui non ci si vergogna neppure più.

Mica che forse lo strumento non c’entra un cazzo, mica che forse c’entriamo noi e il mondo che noi abbiamo partecipato a costruire.

Che siamo sempre da un’altra parte, che abbiamo sempre qualcosa di importante, che non capiamo il mondo e del mondo è la colpa di tutto. Mica nostra.

E allora, incredibile a dirsi, rivoluzionario a dirsi, immondo a dirsi, Dio benedica Twitter, sordido cesso pubblico dai muri trasparenti, pieno di stronzi e puttane e volgarità e qualunquismi e merda.

Vero lupanare del mondo, al mondo sovrapposto e del mondo specchio.

Ma trasparente, aperto, gloriosamente predisposto a concedere al sordo di poter sentire (se vuole) e al muto di poter parlare (se vuole).

E al Padre di capire, senza giudicare, il mondo dove le sue figlie dovranno vivere. E magari provare a indirizzare qualche insegnamento, qualche dritta, qualche seme. Buttare lì qualche segno di vicinanza, di comprensione, di anticipazione degli eventi.

E sperare che al momento giusto, quando sua figlia si troverà in mezzo al flame della vita, possa trovare in quello spazio oscuro e infinito tra cervello, cuore e stomaco, un cenno di dubbio, un alito di riottosa e perplessa curiosità alla diversità del mondo. Alla complessità del vivere che sta tra una troia e una sfigata.

E che non si sentisse proprio sola, senza un approdo, senza nulla, in questo mare oscuro e cattivo.

Perché i padri solo questo possono fare. Sperare di aver fatto bene il loro lavoro, quando arriverà il momento di dimostrarlo. Non giudicare, non interpretare la vita degli altri secondo la vita propria, non sbertucciare ciò che non si capisce. Ma stare lì in attesa e limitare al minimo le proprie colpe.

Perché le colpe dei padri, ricadono sempre sui figli. Altro che Twitter, porca troia.

Luca

Via | Simone Spetia

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Twitter non è cosa per VIP

Linus scrive oggi una cosa molto interessante sull’utilizzo di Twitter da parte dei VIP.
Lo fa partendo dal caso di Fiorello, autentica star su Twitter, che qualche giorno fa ha eliminato il suo account.
Probabile che ci sia dietro una storia di minacce o di offese.
Secondo me entro poco anche Jovanotti farà la stessa cosa.

Mi fa sorridere in questi giorni leggere i commenti e le supposizioni sull’improvviso abbandono di Twitter da parte di Fiorello. So bene qual è il motivo ma non è certo compito mio raccontarlo, come so di tanti altri amici e colleghi ormai indirizzati sulla stessa strada. A parte la presa di coscienza che a un certo punto sia impossibile avere una vita piena e al tempo stesso trovare il tempo per “sfamare” il social network, quello che porta tutti a stancarsi è il confronto costante e opprimente con la massa anonima. Sembra un particolare stupido, dal di fuori si può pensare che un personaggio pubblico sia abituato a ricevere qualche critica in mezzo a mille complimenti, ma è una visione superficiale. Chiunque abbia un minimo di sensibilità può sopportare anche l’insuccesso ma non la cattiveria. Specie se anonima e soprattutto gratuita.
È la classica metafora del dito medio, a chiunque sia stato su un palco è successo almeno una volta di essersi innervosito per l’unico idiota, magari ubriaco, che per farsi bello in mezzo a una platea non trova di meglio che insultare. E da quel momento in poi, se non si è Sgarbi, non si riesce quasi a vedere nient’altro.
Twitter è così, un grande canale per comunicare in orizzontale, cioè tra gente “normale”, molto ipocrita e pericoloso quando lo si usa in verticale. A meno che non se ne faccia un uso “di plastica”, con qualcuno che scrive per conto tuo. Oppure che lo si usi per scrivere solo banalità, come fanno molti.
A me, personalmente, di sapere cosa fa Rihanna non frega nulla.

Linus coglie perfettamente nel segno quando distingue tra l’uso orizzontale e quello verticale dei social network.
Per anni Twitter è stato uno strumento utlizzato da gente normale, per comunicare, per informarsi, per sapere cosa pensano gli altri.
Poi sono arrivato i VIP, lo hanno monopolizzato, lo hanno fatto scoprire ai giornalisti e lo hanno trasformato in un’altra cosa. L’uso verticale di cui parla Linus.
Nel frattempo, gli utenti normali, continuavano ad utilizzarlo nello stesso modo, quello orizzontale.

Ora, quando i VIP si saranno stufati, Twitter tornerà al suo stato originale.
E i VIP che continueranno ad usarlo, magari lo faranno con un po’ più di attenzione.
In modo orizzontale, questa volta.

Luca

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Prepariamoci al 2012 dei blog

Da molte fonti giungono voci che questo potrebbe essere l’anno della crisi dei social network e quello della ripresa dei blog.
La crescita di Facebook e compagnia sta rallentando, i ricavi generati si assestano, le prospettive di sviluppo anche.
Il vecchio meccanismo della bolla.
Per una Zynga che fa miliardi, ci sono migliaia di altre società che nascono morte.
In tanti dovranno tornare ad interrogarsi sul come sfruttare i socialcosi per far soldi.

Twitter, strumento ormai usato da tanti e noto a quasi tutti, non ha ancora un suo modello di business chiaro.
I vari Groupon e simili sono già alla fase discendente.

Per questo i blog, con i quali nessuno è mai riuscito a fare un euro (vedi anche alla voce Splinder), ritorneranno in auge.

Il titolare è pronto a cavalcare l’onda.

Nel frattempo, se vi interessa, questo è un sommario delle statistiche del mio blog.
Non sono molto affidabili, ma si presentano bene.

Luca

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Google +

google+

Da alcuni giorni Google ha lanciato il suo ennesimo guanto di sfida a FaceBook.
Si chiama Google+ ed è in pratica un social network.

A primo acchito a me sembra qualcosa di non molto diverso da Google Buzz che è stato l’ultimo fallimento nel campo dei socialcosi di Google.

Il funzionamento secondo me è fumoso.
Una roba da nerd, o quantomeno da gente abbastanza smaliziata.

C’è un aspetto interessante, quello che permette di creare dei Circles (tradotto in italiano in Cerchia, ma non fa lo stesso effetto) nei quale racchiudere i contatti, ma tutto il resto sembra una cosa non lontana da un normale aggregatore.

C’è anche una questione interessante sulla privacy, visto che su Google+ chiunque può aggiungere un contatto, senza autorizzazione di quest’ultimo, come avviene invece su Facebook dove bisogna essere in due a voler essere amici.
Ovvio che si possono cambiare le impostazioni, ma non è roba da tutti.

Insomma, la prima impressione è che ci vorrà ben altro per impensierire Facebook, che è entrato nell’uso quotidiano di milioni di persone ed è stato in molti casi, almeno in Italia, il primo strumento web utilizzato da tante persone.

Anche i meno smaliziati invecchiano e non è che abbiano tutta questa voglia di fare la fatica di imparare ad usare un altro strumento, specie quando la maggior parte dei contatti resta comunque su Facebook.

Tra l’altro, oggi, Facebook presenta un nuovo prodotto e Google+ potrebbe prendere una mazzata quando è ancora nella culla.

Aspettiamo, che è ancora presto, ma Google + secondo me è destinato a restare uno strumento di nicchia.
E un social network di nicchia non credo sia la cosa che interessa Google.

Luca