Erano mesi che pensavo di farlo.
Da quando vidi la sua intervista nella trasmissione di Piroso su La7.
Ieri l’ho fatto.
Sono entrato in libreria ed ho comprato “Spingendo la notte più in là“, il libro di Mario Calabresi, figlio del commissario assassinato nel 1972.
Non voglio annoiarvi con la storia sul delitto Calabresi, sulla morte di Pinelli, su Sofri, Lotta Continua e gli anni di piombo.
Gli scaffali delle librerie sono piene di libri che trattano l’argomento.
Penso che il libro di Mario, per altro ben scritto, sia un libro importante.
Perché getta lo sguardo sulla vita di chi (i parenti delle vittime), durante gli anni di piombo, non stava nè da una parte, nè dall’altra della barricata, ma nonostante questo ha pagato un prezzo altissimo.
Mario Calabresi racconta la sua vita che è quella di un bambino a cui hanno ucciso il padre quando aveva due anni e che ha vissuto tutta la adolescenza in biblioteca a leggersi le cronache dei giornali dei primi anni settanta.
Oggi Mario è corrispondente per Repubblica da New York, scrive quindi nello stesso giornale di Adriano Sofri, ed ha sposato Caterina Ginzburg, figlia di Natalia, una delle firmatarie dell’infame appello (oggi da molti rinnegato) che giocò un ruolo non secondario nell’uccisione del commissario Calabresi.
A dimostrazione di quello che è il teorema espresso da Mario Calabresi nel suo libro: “Bisogna scomettere tutto sull’amore per la vita”.
Comunque la si pensi, secondo me un fatto è innegabile: abbiamo riabilitato i terroristi in modo frettoloso e dimenticandoci che per i caduti del terrorismo una riabilitazione non è più possibile.
Quale che fosse la responsabilità del commissario Calabresi nella morte di Pinelli (e il processo ha stabilito che non ce ne fosse), chi armò le pistole che spararono al commissario ha avuto troppa visibilità e considerazione rispetto a chi vide uscire di casa il padre e non lo vide più ritornare.
Luca
Il video dell’intervento di Mario Calabresi a Ballarò