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Il Presidente travagliato

Ieri in un’intervista a Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha bacchettato Napolitano per il suo scarso coraggio nel resistere all’ondata di leggi ad personam del governo Berlusconi.
Ciampi dice che Napolitano (pur non citandolo) deve rifiutarsi di firmare le leggi anche se queste poi verranno comunque approvate in seconda battuta.
Il fatto che lui il Lodo Schifani lo abbia firmato e che abbia firmato 13 delle 18 leggi ad personam dei governi berlusconi è evidentemente un dettaglio.
La coerenza non è più una virtù, si sa.

Oggi Marco Travaglio incorona Ciampi come Grillino e lo perdona per le sue piccole incoerenze.

A Napolitano, ormai il suo nemico numero 2, il giornalista de Il Fatto ricorda che nel caso in cui una legge da lui non firmata gli venga sottoposta per la seconda volta potrebbe comunque dimettersi.
La considerazione che poi il parlamento eleggerebbe un Presidente della Repubblica di centro-destra ovviamente a Travaglio non interessa.

Luca

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Ve lo dico prima, almeno non ci restate male

Beppe Grillo chiede che Berlusconi e Napolitano si dimettano.
Non si capisce perché.
Berlusconi è lo stesso che era un mese fa e Napolitano ha firmato una legge che non poteva giudicare lui se fosse costituzionale o meno.
In tanti non lo sanno, ma sono decine le leggi che ogni Presidente della Repubblica ha firmato e poi la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali.
D’altra parte lo capisce anche un bambino che se fosse il Presidente della Repubblica a giudicare, la Corte sarebbe inutile.

Il problema è che Grillo continua ad esistere soltanto se continua a spararle grosse.
E quindi continua.

Nel frattempo ha lanciato, un po’ in sordina a dire la verità, il suo partito.
I sondaggi accreditano al Movimento Nazionale Grillo circa il 3% dei voti.
Praticamente tutti tolti all’Italia dei Valori che passerebbe dal 9% al 6%.

Tutto ‘sto casino per non prendere un voto in più di quelli che già ci sono.
Forse la strategia andrebbe un po’ rivista.

Luca

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A telecamere spente

Alessandro Gilioli, autore del blog premiato come miglior blog giornalistico dell’anno, racconta cosa succeda a telecamere spente in un talk show politico ad esempio di La7.

Stamattina sono stato (immagino per l’ultima volta) tra gli ospiti di Omnibus, il bla bla di politica in onda all’alba su La7. Qualche backstage e qualche nota a caldo.

1. Fuori onda, Pierluigi Battista ha scommesso con gli astanti «la sua reputazione» sul fatto che il Lodo Alfano verrà approvato dalla Consulta. Non ho idea di quali fonti abbia Battista, ma curiosamente non ha ripetuto la scommessa in onda. Mi limito ad aggiungere, per chi non lo sapesse, che Battista è uomo piuttosto potente a Roma e con ottime conoscenze nei giri «giusti», diciamo.

2. Sempre fuori onda, Battista ha sostenuto che se il risarcimento di 750 milioni stabilito dal tribunale civile diventasse esecutivo, «Mediaset chiuderebbe». SIngolare tesi, anch’essa stranamente non ripetuta in onda. Intanto perché si parla di Finivest – non di Mediaset – che peraltro ha in cassa liquidità per oltre un miliardo di euro, e poi perché Mondadori in 18 anni di proprietà abusiva del Cavaliere ha fruttato 1,2 miliardi di utili netti, quindi mezzo miliardo in più del risarcimento stabilito. E comunque per non pagare il risarcimento in questione bastava non corrompere il giudice, mi pare.

3. Per aver fatto notare a Battista queste cose in diretta (senza alcun attacco personale nei suoi confronti) l’editorialista del Corriere mi ha detto che io sono «l’Emilio Fede di De Benedetti». E’ la consueta arma dei manganellatori: in assenza di argomentazioni, vai con l’attacco personale, umiliante, all’olio di ricino – sei un servo del tuo padrone. L’idea che uno abbia idea proprie, non insufflate da padroni, neppure li sfiora, forse perché loro non ne hanno mai avute. Comunque, ho chiesto in diretta a Battista di non insultarmi, lui mi ha risposto che “Emilio Fede” non è insulto, io gli ho risposto che invece sì, poi il conduttore ci ha fermati. Mi piacerebbe fare querela (ovviamente non la farò) solo perché un tribunale della Repubblica possa stabilire che “Emilio Fede” è un insulto.

4. Il medesimo Battista, che fuori onda mi dava del tu, in onda mi ha chiesto di dargli del lei. Boh.

5. Tra i presenti, si è discusso venti minuti su quanto era stato sgarbato Di Pietro con Napolitano, e nessuno che avesse un’idea del fatto che lo scudo fiscale estingue reati che prevedevano fino a sei anni di carcere, quindi ha effetti di amnistia, e per fare una legge di amnistia ci vuole una maggioranza qualificata di due terzi del Parlamento, che invece non c’è stata, quindi Napolitano avrebbe avuto ottimi motivi per rinviare la legge alle Camere per un secondo esame. Non mi sembrava un concetto difficile né da capire né da comunicare in tivù, dove invece il centro della discussione è stato il mancato bon ton di Di Pietro.

6. A un certo punto ho fatto capire che a mio avviso, anche per raggiunti limiti d’eta, Napolitano non è più lucidissimo. Mi riferivo peraltro a un video appena mandato in onda, durante il quale era piuttosto evidente un certo obnubilamento. Il conduttore mi ha tirato le orecchie nella pausa, credo che abbia paura del reato di “vilipendio del capo dello Stato”. Non ho vilipeso nessuno, ma in ogni caso vorrei sollevare se possibile La7 da ogni responsabilità prendendomela per intero (io ormai mi sa che me la sono giocata, ma non vorrei che per causa mia non invitassero più a parlare – nemmeno loro – nessun altro di questo giornale).

Luca

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Chi decide cosa

Non sto nemmeno a spiegare perché non debba essere il Presidente della Repubblica a dire ai giornalisti di cosa devono o non devono parlare.

Luca

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Napolitano risponde a Grillo

Il Presidente della Repubblica risponde alle cinque domande poste da Beppe Grillo sul Lodo Alfano.
Lui, non contento, lo prende per il culo.

Luca