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Non è che siamo diventati tutti amici dei mafiosi

Pino Arlacchi, storica figura dell’antimafia, amico personale di Falcone e Borsellino, si è autosospeso dal suo partito, l’IDV, dopo le dichiarazioni di Di Pietro seguite alle contestazioni contro Schifani alla festa del PD di Torino.

Sono lontano anni luce da Renato Schifani, mi batto da una vita contro gli ambienti geopolitici da cui proviene il presidente del Senato. Non l’avrei invitato a nessun dibattito, inutile dirlo. Però – e qui è il punto – fino a che non ci saranno prove certe emerse da procedure democratiche e nel pieno rispetto dei suoi diritti costituzionali, Schifani non può essere etichettato e additato al pubblico ludibrio come mafioso e non può essere né insultato né zittito. Se si trova in un’occasione pubblica ha il diritto di parlare. Vale per qualunque cittadino. Chi ignora queste cose, distrugge la credibilità di ogni lotta per la legalità.

Se c’è un merito del movimento antimafia italiano, me lo lasci dire, è quello di aver sempre rifiutato qualunque forma di protesta violenta e incivile. Dalla sua nascita, negli Anni 40, fino a quando negli Anni 90 è diventato movimento di massa, era ben presente un filo comune: nessuna concessione alla violenza fisica e verbale. È sempre stato un movimento democratico guidato da persone illuminate che hanno saputo incanalare la giusta incazzatura della gente nell’alveo democratico.

neanche nei momenti più difficili, abbiamo pensato di privare dei suoi diritti un criminale. Abbiamo saputo costruire dei miracoli come il maxiprocesso senza torcere un capello ai mafiosi. Questo è il grande patrimonio dell’antimafia che bisogna maneggiare con cura. I ragazzi con le agende rosse? Non li capisco. Anche perché probabilmente Paolo Borsellino non aveva proprio nulla di segreto in quella sua agendina: lui e Giovanni Falcone odiavano i diari, è noto. Ma indipendentemente da questo, a chi sta protestando dico: continuate ad arrabbiarvi e manifestare, però nel rispetto delle regole e della democrazia. E leggete più libri, oltre ai giornali e agli atti giudiziari.

Di Pietro non lo riconosco più. Mani pulite è stato un altro grande esempio di democrazia che si è fatta sentire. Però i processi non si sono mai svolti su Facebook e sui giornali ma nei tribunali.
Il perché di questa trasformazione del leader idv Arlacchi lo intravede nel timore che «forse ha di Beppe Grillo e dei suoi consensi. In modo ingiustificato, secondo me. Inseguire quelle posizioni estreme, gliel’ho detto più volte, non paga. E allontana il progetto di rendere l’Idv un grande partito di popolo capace di parlare a tutti. Si sta cacciando in un cul de sac. Per questo mi autosospendo. E finché non vedo un’inversione di rotta non torno indietro.

Luca

Via | Francesco Costa

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diritti umani politica

Mi rimetto in pari

giovanni falcone

Da Repubblica del 24 Maggio 1992.

Quanta paura, quanta speranza, quante lacrime alle 18,47. Si, alle 18,47 un medico dell’ospedale civico firma il cartellino “d’entrata” del giudice italiano più famoso nel mondo. Due parole, solo due parole: “arresto cardiaco”. Giovanni Falcone è arrivato morto in ospedale, è arrivato già morto. E sull’ambulanza che lo trasportava c’era la sua borsa di pelle marrone. Piena di carte, piena di fogli. C’era anche un libro, “Il ruolo del Pubblico ministero”. Su un’altra ambulanza Francesca, la moglie, giudice di tribunale, magistrato come il marito, magistrato come il fratello, Alfredo, sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo. “Ha le gambe rotte”, diceva alle otto di sera un infermiere del Civico. “Ha il ventre aperto”, raccontava un chirurgo alle dieci di sera. E’ in coma, no si salva, è in fin di vita, è fuori pericolo. Povera Francesca, è morta, è morta anche lei con il suo amore.

A sera tarda, a tardissima sera arriva la solita rivendicazione della Falange Armata, arriva la notizia del lutto cittadino in memoria di Giovanni Falcone, arriva la notizia del consiglio comunale che si riunisce in seduta straordinaria con quello provinciale. Arriva lo “sgomento” della città di Palermo, la “costernazione” della capitale siciliana per l’uomo simbolo, per l’uomo amato e odiato, per il giudice che ha mandato sotto processo mille uomini d’onore. Gliel’avevano giurata a Giovanni Falcone. gliel’avevano giurata tredici anni fa: “Morirai, lo sai che prima o poi morirai…”. E lui lo sapeva. Ma ridendo, con quella sua faccia che alcune volte lo rendeva antipatico anche gli amici che lo volevano bene, lui rispondeva: “Per me la vita vale come il bottone di questa giacca, io sono un siciliano, un siciliano vero”. E rideva, rideva, Giovanni Falcone.

Via | Luca Sofri

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informazione politica

Saviano

Sono tra quelli che stimano moltissimo Saviano pur non avendo apprezzato troppo Gomorra.
Nel senso che il libro l’ho trovato noioso ed un po’ sconclusionato, anche se i reportage che contiene sono incredibili.

Non ho mai pensato che Saviano fosse di sinistra.
Leggendo le sue cose non ti viene mai il sospetto che lo sia.
Questa è anche la sua forza.
Quella cioè di giocare come un battitore libero.

Il fatto che collabori con Repubblica e che questo quotidiano lo abbia “usato” per diffondere alcuni dei suoi millemila appelli contro vari provvedimenti del governo Berlusconi ne ha forse alterato questa immagine.
Ma Saviano secondo me resta uno fuori dagli schemi della politica italiana.

A questo proposito la dichiarazione fatta da Emilio Fede è totalmente priva di logica.

Oggi, su Libero, Filippo Facci ed Antonio Socci hanno scritto un appello a Berlusconi ed al centro-destra titolato “Spiegate a Fede che Saviano non è comunista

Regalare alla sinistra Roberto Saviano sarebbe una delle sciocchezze più tragicomiche che il centrodestra potrebbe fare: eppure ci sta provando in ogni modo. In queste ore ci si è rimesso pure Emilio Fede, che si è lanciato con un’invettiva così sgangherata da rendere imbarazzante persino parlarne. Se l’autore di «Gomorra» non si è ancora intruppato in certo gregge conformista e firmaiolo, del resto, è solo per merito proprio, da uomo libero e coraggioso qual è. Saviano, oltretutto, ha una formazione culturale fin troppo di destra: il centrodestra avrebbe potuto farne un proprio simbolo, ma ragionare in questo modo sarebbe comunque fare un torto a uno scrittore che giustamente tiene alla propria indipendenza da ogni schieramento, e che ripete, ogni giorno, che la lotta alla mafia e alla camorra non è di destra né di sinistra.

Saviano dovrebbe essere considerato – da tutti – un simbolo di libertà, una voce nobile, un giovane scrittore che ha rischiato e rischia la vita per innescare una rivolta nella coscienza della sua gente, la stessa che animò grandi scrittori come Salamov e Solzenicyn contro l’impero della menzogna comunista: non è un caso che Saviano abbia indicato, come riferimento morale, proprio «I racconti di Kolyma» che è la più grandiosa e sconvolgente opera letteraria di denuncia della bestialità del Gulag assieme all’«Arcipelago» di Solzenicyn.

[…]

Dispiace che anche Berlusconi sia caduto nell’errore di considerare «la letteratura come Gomorra o le serie della Piovra» solo come una pessima pubblicità all’Italia, tra l’altro facendo confusione due volte: Gomorra è un’inchiesta coi controfiocchi che ha rivelato al mondo ciò che neanche tanti giornalisti italiani sapevano, mentre La Piovra è la caricatura, in fiction, di una mafia immaginifica che non è neppure mai esistita, ma che viene replicata all’infinito per buona grazia del tafazzismo nostro e dello sciovinismo d’oltreconfine.

[…]

Roberto Saviano, che tra l’altro ha rivelato gran stoffa letteraria e straordinario talento giornalistico, in questa rivolta morale ha scommesso la sua vita fin dal principio. Ora, ad appena 31 anni, deve vivere da fuggiasco, superblindato, prigioniero, senza una vita privata. Qualche volta ha ceduto, e ha detto: non lo rifarei. Merita almeno il rispetto di chi sta con il culo al caldo.

Luca

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politica

Genchi

Ho già espresso le mie perplessità su Gioacchino Genchi, uno dei pupilli dell’area dipietresca, travagliesca, grillesca.

Genchi qualche giorno fa aveva espresso dei dubbi sull’arresto di due mafiosi proprio dopo il No-B Day ed aveva dichiarato (ripreso dal blog di Beppe Grillo):

I veri poliziotti che hanno fatto quella cattura (di Nicchi e Fidanzati, ndr) si sono vergognati e se ne sono andati e mi hanno telefonato, mi hanno detto qui stanno facendo uno schifo, perché hanno organizzato una messinscena davanti alla questura, portando le persone loro, con i pullman, per organizzare quell’apparente solidarietà alla polizia.

Non so se l’arresto dei due mafiosi sia stato rimandato ad una data che fosse significativa.
Di sicuro c’è che la gente che era davanti alla questura ci era andata di sua spontanea volontà, visto che erano gli appartenenti ad alcune organizzazioni anti-mafia, tra cui Addiopizzo.

Ovviamente c’è chi si è arrabbiato con Genchi e con chi continua a dare importanza alle sue parole:

Genchi dice assurdità: quei ragazzi li conosco, non c’era alcun pullman ed erano arrivati con i loro mezzi, anche durante la strada e persino in via Juvara la gente esultava per l’arresto, la solidarietà è vera.

Luca

Via | Francesco Costa

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diritti umani

Se soltanto potessimo dire della vergogna del 41-bis

Il tenutario del blog, che da molti anni si interessa a tempo perso alle questioni inerenti i diritti umani, è da sempre contrario al 41-bis e sposa, per una volta, Filippo Facci e quanti vorrebbero l’abolizione di questa norma ingiusta:

Non puoi avere carta per scrivere, penne, giornali, fotografie di nessuno, non più di due pacchi al mese, non puoi comprare cibo né niente, le tue lettere vengono lette, non puoi tenere nessun oggetto – solo un libro, uno solo – e non puoi lavorare o studiare o fare attività fisica. Puoi passeggiare due ore al giorno in cortili stretti con recinzioni e griglie, le finestre hanno una rete a maglie strette e una tapparella di ferro. Non puoi avere più di due magliette al mese, niente messa, non puoi presenziare nell’aula del tuo processo, puoi vedere i tuoi familiari per un’ora al mese attraverso un vetro e un citofono, e per dieci minuti i tuoi bambini: e qui le scene più penose, perché spesso sono in tenera età e piangono, urlano, scappano dal padre che non hanno mai visto o non riconoscono dopo anni.

Ora: questa cosa si chiama 41-bis, cosiddetto «carcere duro», ma si chiama anche tortura legalizzata: perché è un articolo di legge che col pretesto di isolare un detenuto mira in realtà a fiaccarlo e annullarlo nel corpo e nella mente. Non c’è docente di diritto che non lo giudichi incostituzionale, e un giudice americano giunse a negare l’estradizione di un boss perché il nostro 41 bis – disse – corrispondeva a tortura. Ieri l’on. Giuseppe Gargani, su Libero, ne ha proposto l’abolizione o almeno la modifica: mi onoro di affiancarlo. Ma parlar male di Garibaldi, nell’Italia di oggi, in confronto è niente.

Si lo so che Falcone e Borsellino erano strenui difensori del 41-bis e che forse il suo utilizzo è stato utile nella lotta alla mafia.
Ma quando una cosa è sbagliata, lo è in ogni caso.

Amnesty International lo denunciò già nel 2003:

C’è preoccupazione che il cosìdetto regime di massima sicurezza 41-bis […] possa in certi casi essere considerato un tratttamento crudele, inumano e degradante.

In un paese moderno dovremmo poter discutere anche del 41-bis senza doverci dividere in amici e nemici della mafia.
Prima di tutto dobbiamo essere amici dell’uomo e dei suoi diritti.
Il 41-bis certifica che ci sono uomini meno uomini di altri.
E questo, in uno stato moderno, è inaccettabile.

Luca