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Nel mezzo ci sono io. Forse anche voi

Sono stato volutamente alla larga dalle dirette e dalle differite sulla beatificazione di Giovanni Paolo II.
Mai stato un appassionato di riesumazioni e di culto dei corpi e dei loro resti.
Sempre preferito i corpi in vita.

Figuratevi che io vivo in una città in cui in questi giorni si leggono manifesti nei quali pubblicizzano l’esposizione della testa di una morta.
Che sarà pur santa, ma sempre morta è.
Roba da film horror di quarta categoria.

Sono robe che secondo me rasentano il paganesimo e che se la religione è questa qui, grazie ma ho da fare di meglio.

Insomma, dicevo che non ho seguito la beatificazione di GPII.
Niente a che fare con il papa o con la sua beatificazione.
Solo che queste occasioni mi allontanano dalla Chiesa e dai suoi fan più accaniti.
I papa-boys in primis.
Che poi nemmeno esistono davvero i papa-boys.

Comunque, dicevo che non ho seguito la beatificazione di GPII.
Così, come spesso mi capita quando voglio capire qualcosa di un argomento, vado a leggere chi ne parla in modo più distaccato.
Il Post, a firma probabilmente di Luca Sofri, ha pubblicato una cosa che descrive bene perché il Papa che la Chiesa ha proclamato beato domenica scorsa, è stato innanzitutto un grande uomo.
Tra “il grande uomo” del Post e gli adoratori di resti umani esposti in pubblico ci sono, io, noi, voi.
Che dell’uomo e del pastore abbiamo cercato di prendere il bene e di perdonargli il male.
Che poi è quello che dovremmo fare con tutti gli uomini e con tutte le donne.
Il cristianesimo in fondo è tutto qui.
Senza dover fare la fila per vedere una bara triplo strato.

La “beatificazione” di Karol Wojtyla è un cerimoniale caro alla Chiesa Cattolica e ai suoi riti e incasellamenti, ma rilevante per il mondo solo per le sue conseguenze concrete: che sono – come fu già per il suo funerale – una nuova dimostrazione della sua straordinaria popolarità e una giornata memorabile per la città di Roma, che già ne ebbe di simili (e forse sono imbattibili quelle di Tor Vergata nel 2000).
La giornata è stata quindi interessante in quanto occasione di riflessioni e analisi su ciò che è stato e ciò che è, più che per l’evento in sé. E se sono importanti anche letture più critiche e severe del pontificato di Wojtyla, spesso sono anch’esse riduttive quanto gli sbrigativi ritratti nostalgici delle dirette televisive. Wojtyla è stato responsabile e ispiratore di grandi cambiamenti e di buoni cambiamenti: per il suo ruolo nel processo di caduta del comunismo filosovietico e per quello nell’avvicinamento della Chiesa cattolica ad altre religioni e altre comunità. Non fu abbastanza severo con altri dittatori né con gli scandali pedofili che già si affacciavano. Ma fu uno di quei grandi leader che cambiano le cose di propria iniziativa, che è ciò che la storia chiede ai grandi leader: perché lo pensano giusto e non per garantirsi un applauso o un nuovo mandato.
Ed è anche stato, lo dimostrano ancora le folle di oggi, un uomo capace di ispirare tantissime persone rispetto a un’idea di bene e di miglioramento del mondo che era in parte contenuta nella fede di cui è stato rappresentante e in parte è stata rinnovata dal suo impegno: e Dio solo sa quanto questi tempi abbiano bisogno di modelli, di ispirazioni, di rappresentazioni di buoni percorsi. Wojtyla ha detto per anni “comportatevi bene” e lo ha detto in modo evidentemente convincente. Ha predicato bene, e quello è rimasto addosso a tanta gente. Sono presenze della cui importanza ci si rende ben conto, quando mancano. Per questo è la sua vita da uomo quella che apprezziamo, consapevoli delle sue incompletezze: da beato, lo lasciamo a chi dà importanza a queste cose.

Luca

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Avevamo i nostri buoni motivi

Non è che fossimo tutti scemi.
Quando accusano i cattolici della mia generazione di essersi fatti irretire dalla fisicità e dalla capacità comunicativa di Giovanni Paolo II si scordano della sostanza.
Si scordano che quel Papa, nonostante le sue rigidità, ci ricordò che essere cristiani è soprattutto una cosa bella e piena di speranza, che rivaluta e non sacrifica l’uomo.

Quando, nell’omelia del suo funerale, senti l’allora cardinale Ratzinger, parlare di una Chiesa sola, sballottata in mezzo al mare in tempesta dei tempi moderni, restai di sasso.
Non si potevano trovare parole più inadeguate per il funerale di Papa Wojtyła.
Questo pensai.
Dispiace, ma è così.

La cosa che ci manca è la speranza.
Non eravamo scemi a seguire Papa Wojtyła.
Avevamo i nostri buoni motivi.

Luca