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Mattia Feltri, Marco Travaglio, Pannella

Mi sono sempre stupito di come Marco Travaglio riesca a trovare ammiratori ed estimatori perfino in porzioni della sinistra italiana.
La spiegazione è piuttosto banale; Travaglio fu una delle principali icone dell’anti-berlusconismo, e a quell’icona molti anti-berlusconiani sono rimasti legati.

Travaglio è un giornalista scorretto, sarebbe meglio dire disonesto, e lo conferma con una instancabile costanza ogni giorno, da anni.
Travaglio non racconta mai, o quasi mai, cose totalmente false, racconta sempre porzioni di verità, occhieggia, fa finta di dimenticarsi i dettagli e, così facendo, da anni, fa credere ai suoi lettori che gli atti di accusa di una procura siano una sentenza, che pubblicare qualsiasi intercettazione vada sempre bene, che una assoluzione non sia comunque degna di essere ritenuta tale. Lo fa nei suoi editoriali, che in pochi leggono, ma lo fa ancora di più in televisione, dove è ospite fisso e mattatore da 15 anni, forte del suo carisma e della sua falsa autorevolezza.

Oggi Mattia Feltri, con un suo post su Facebook, racconta una cosa piccola, ma che fa capire bene che tipo di persona sia Marco Travaglio.

UNA PICCOLA STORIA MISERABILE
Questa mattina Marco Travaglio si occupa di me, nei soliti modi disonesti. E uso il termine “disonesti” sapendo di usarlo e che cosa comporta. Lo uso perché la disonestà di stamattina ha qualche cosa di ulteriore e di imperdonabile. Lui sa (ci conosciamo, senza frequentarci, da una ventina d’anni) che sono lento all’ira e lascio passare tutto, o quasi. Ma stavolta mi sembra davvero troppo. Arrivo al punto.
Travaglio riprende il mio Buongiorno di ieri in cui criticavo l’uso del Fatto delle intercettazioni su Renzi padre e figlio. E segnala che nella stessa edizione della Stampa era pubblicata una intercettazione di Scafarto, il carabiniere collaboratore di Woodcock. Ne trae la conclusione “che le intercettazioni sgradite a Renzi sono brutte e quelle gradite a Renzi sono belle”. Lui, che mi conosce da vent’anni, mi attribuisce un servaggio a Renzi (come me lo attribuiva a Berlusconi). Ed è miserabile.
Bisogna mettere giù un paio di punti. 1) C’è una differenza fra l’intercettazione a Scafarto sulla Stampa e quelle del Fatto. Quella a Scafarto è depositata in un fascicolo e ha rilievo penale, quella fra padre e figlio Renzi non ha rilievo penale, non è stata nemmeno trascritta ma incredibilmente finisce lo stesso in redazione e in pagina. Lo stesso, ed è anche peggio, succede all’intercettazione fra Tiziano Renzi e il suo avvocato. Una folle violazione dei diritti della difesa, ma ormai è tutto buono. 2) A me non piace nemmeno la pubblicazione dell’intercettazione a Scafarto, nonostante sia una pubblicazione legittima. Lo scrivo dai tempi del Foglio (anni Novanta) e grazie al cielo continuo a scriverlo sulla Stampa perché è un giornale che consente opinioni diverse. Ma questo Marco Travaglio non lo capisce o lo trascura. Ne riparleremo quando qualcuno scriverà sul Fatto che l’uso politico delle inchieste è criticabile. Succederà mai?
Infine, ed è la questione che mi preme di più. Travaglio sa, lo sa benissimo, che non sono renziano, come non ero berlusconiano, né sono mai stato altro. Entro in cabina elettorale e voto e poi esco e me ne dimentico e faccio il mio lavoro. Sbaglio spesso e sbaglio con la mia testa. Non intendo passare da eroe, sono tutte cazzate di giornalisti cazzoni che pensano di essere l’ombelico del mondo. Sono un cazzone come gli altri. Poi, certo, ogni santa mattina c’è qualcuno che legge quello che scrivo e pensa di essere più intelligente dicendo che sono renziano, e l’indomani ce ne saranno dieci altri che diranno che sono antirenziano, ma fa parte delle regole dei social, dove si dice quello che si pensa ma non si pensa a quello che si dice. Pazienza. Però se lo scrive Travaglio, in modo apertamente disonesto, perché sa benissimo che non è vero, e cioè alimentando questo clima orrido di sospetto e di calunnia, e lo fa sulla mia pelle, e mi fa passare per uomo prezzolato, io glielo dico: Marco Travaglio sei un uomo disonesto, sei molto più disonesto dei disonesti che credi di mettere al muro con la tua maschera di Robin Hood, ed è sempre Carnevale.
Ps. Mi correggo. Anche io sono qualcosa, sono pannelliano. Marco Pannella è morto oggi un anno fa. E’ un uomo che ha fatto mille cose ottime e mille cose pessime, ma le ha fatte perché erano sue. Mi manchi, Marco.

Luca

Il PD non ha bisogno di Renzi per autodistruggersi

Ho letto tante cose negli ultimi giorni sulla Leopolda e sulla contemporanea manifestazione della CGIL a Roma.
Io sto con Renzi. Io invece sto con i lavoratori e con la CGIL.

In tutto questo schierarsi contro e a favore, i giornali tornano a paventare scissioni a sinistra, anche grazie allo stillicidio di dichiarazioni fatte in tal senso dai dissidenti come Civati.
Si accusa Renzi di distruggere un partito, di escludere chi la pensa diversamente.

Renzi distruggerà quindi il PD?
Io non credo, il PD si è già distrutto da solo mille volte negli ultimi anni, quando Renzi ancora era uno sconosciuto.
Come dire: il PD non ha bisogno di Renzi per autodistruggersi, ce la può fare tranquillamente da solo.

Del resto, io sono d’accordo con Luca Sofri che sostiene che stia succedendo esattamente il contrario.
Che Renzi cioè stia mettendo insieme tante persone che la pensano diversamente e che è l’opposto di quello che ha fatto il PD fin qui.

Le due idee di sinistra che si scontrano, quindi sono queste, davvero: quella di chi pensa che opinioni tanto diverse non possano stare nel consenso a un solo partito, e ragionevolmente aspirerà quindi a rappresentare con quel partito un massimo del 15-20% di elettori, se è molto bravo. E quella di chi, realisticamente, sa che se si vuole avere una delega e una rappresentanza maggiore – e quindi la legittimazione democratica a governare e cambiare le cose – le si otterranno da comunità di elettori che sono per forza diverse e lontane su molti temi, ognuna delle quali sarà sempre scontenta di una o molte cose fatte e annunciate.

Entrambe le idee sono del tutto ragionevoli e sensate: la prima ha guidato la sinistra per anni nell’ambizione che gli italiani diventassero tutti simili e comunisti, e poi tutti simili e diessini, e poi tutti simili e piddini. Non è successo, come si nota, e anzi è successo il contrario. La seconda idea guida Renzi nell’ambizione che gli italiani diversi diventino piddini condividendo quest’idea di diversità e convivenza. Non è detto che non vada a sbattere anche lui. Ma non sta dividendo la sinistra, sta facendo il contrario.

Luca

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I tempi sono cambiati

Carl Bernstein e Robert Woodward

Ieri Jeff Bezos ha acquistato il Washington Post per 250 milioni di dollari.
Parliamo di uno dei più importanti e celebri quotidiani del mondo.

Il gruppo RCS nei primi sei mesi del 2013 ha avuto un passivo di 125 milioni di euro (che erano più di 600 nel primo semestre 2012).
Repubblica e La Stampa non se la passano molto meglio ed hanno recentemente aumentato il prezzo del giornale.
Il Sole 24 Ore si è fuso con la società che gestisce Radio24 e speriamo che non finisca come sempre, con la parte sana che muore per salvare la parte malata.
Tutto questo in un paese in cui i giornali sono scritti dai giornalisti per i giornalisti.
E infatti se li leggono quasi soltanto loro.

Intanto, poco più di un anno fa Facebook acquisiva Instagram con i suoi 13 dipendenti (tredici) per 1 miliardo di dollari.
Quattro volte il valore pagato dal patron di Amazon per comprarsi il Washington Post.

Luca

Foto | AP

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RCS, il Corriere della Sera, il salotto buono che fu e che forse non sarà più

Il Foglio qualche giorno fa ha pubblicato un racconto spettacolare di Paola Peduzzi sulla situazione che sta vivendo il Corriere della Sera, con la crisi di RCS, la mobilità dei suoi giornalisti e l’insopportabile, ma quanto mai probabile abbandono della sede di Via Solferino.
Un cambio di sede che nella redazione del Corriere è vissuta come una deportazione.

Se non capisci che muoversi da Via Solferino è una deportazione, non puoi capire nulla del Corriere della Sera”. La “deportazione” è il trasferimento della redazione del giornale più influente d’Italia, diretto da Ferruccio de Bortoli, dalla storica sede nel centro di Milano alla periferia nord-est della città, via Angelo Rizzoli, tre palazzi e una torre ideati da Stefano Boeri a due passi dal parco Lambro. Là c’è già un bel pezzo di Rcs Mediagroup, ci sono i periodici con la loro triste fama di essere un buco nero di perdite (“Ora che l’azienda ha annunciato che venderà o chiuderà dieci testate, secondo te chi è che vorrà più metterci un euro di pubblicità, in questi zombie?”), i Libri, la pubblicità, i new media e gli uffici di staff. C’è ancora tanto spazio, un palazzo intero, quanto basta per ospitare i giornalisti del Corriere e della Gazzetta dello Sport. Ma loro non si vogliono muovere.

Un racconto come quelli che si leggono sul New Yorker, che raramente si trovano sulla stampa italiana.

Ve lo consiglio.

E’ curioso che soltanto in poche conversazioni sia emersa la figura del lettore, nonostante sia cruciale per il futuro dei media, tradizionali e no. Sono soprattutto i più giovani a citare “i miei venticinque lettori” di manzoniana memoria, e questo è l’happy end di una storia fatta di scivoloni, di un mondo che si sfalda, di caste da smantellare, in cui i Padroni dell’Universo del giornalismo non vogliono perdere i loro privilegi e i Padroni dell’Universo della finanza non vogliono perdere le loro rendite di posizione e nemmeno fare gli editori: è la scarsa qualità del progetto editoriale del Corriere per il futuro il vero problema da risolvere.

Luca

Via | Christian Rocca

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L’autolesionismo dei sindacati

L’editoria è in crisi, la gente non compra più i giornali, le edicole se la passano male.
Mancano proposte certe del governo sulla regolamentazione del settore.
E quindi, che si fa?

Si proclama un bello sciopero il 24, 25 e 26 Febbraio.
Si, proprio in quei giorni lì, nei giorni delle elezioni.

C’è un’unica saggia eccezione, quella della FENAGI (Confesercenti), che non aderirà.

La Fenagi, pur riconoscendo la necessità di una azione di forte visibilità della categoria al fine di far emergere lo stato di crisi del settore, trova sbagliato e controproducente chiamare alla chiusura le edicole proprio nei giorni nel quale si svolgono le elezioni politiche
Nel panorama generale dell’informazione, le rivendite di giornali, data la tutela che la Costituzione attribuisce al prodotto editoriale anche nella fase della vendita, sono sempre state riconosciute come elementi importanti per la garanzia di una diffusione capillare e pluralista del prodotto quotidiano e periodico. Mettere in gioco il profilo di pubblica utilità della rete di vendita, malgrado le conferme avute anche dallo stesso Governo Monti che non ha abrogato le leggi a tutela della stampa, è un grave errore.

Per fortuna che c’è sempre qualche saggia voce fuori dal coro.

Luca