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informazione politica

Saviano

Sono tra quelli che stimano moltissimo Saviano pur non avendo apprezzato troppo Gomorra.
Nel senso che il libro l’ho trovato noioso ed un po’ sconclusionato, anche se i reportage che contiene sono incredibili.

Non ho mai pensato che Saviano fosse di sinistra.
Leggendo le sue cose non ti viene mai il sospetto che lo sia.
Questa è anche la sua forza.
Quella cioè di giocare come un battitore libero.

Il fatto che collabori con Repubblica e che questo quotidiano lo abbia “usato” per diffondere alcuni dei suoi millemila appelli contro vari provvedimenti del governo Berlusconi ne ha forse alterato questa immagine.
Ma Saviano secondo me resta uno fuori dagli schemi della politica italiana.

A questo proposito la dichiarazione fatta da Emilio Fede è totalmente priva di logica.

Oggi, su Libero, Filippo Facci ed Antonio Socci hanno scritto un appello a Berlusconi ed al centro-destra titolato “Spiegate a Fede che Saviano non è comunista

Regalare alla sinistra Roberto Saviano sarebbe una delle sciocchezze più tragicomiche che il centrodestra potrebbe fare: eppure ci sta provando in ogni modo. In queste ore ci si è rimesso pure Emilio Fede, che si è lanciato con un’invettiva così sgangherata da rendere imbarazzante persino parlarne. Se l’autore di «Gomorra» non si è ancora intruppato in certo gregge conformista e firmaiolo, del resto, è solo per merito proprio, da uomo libero e coraggioso qual è. Saviano, oltretutto, ha una formazione culturale fin troppo di destra: il centrodestra avrebbe potuto farne un proprio simbolo, ma ragionare in questo modo sarebbe comunque fare un torto a uno scrittore che giustamente tiene alla propria indipendenza da ogni schieramento, e che ripete, ogni giorno, che la lotta alla mafia e alla camorra non è di destra né di sinistra.

Saviano dovrebbe essere considerato – da tutti – un simbolo di libertà, una voce nobile, un giovane scrittore che ha rischiato e rischia la vita per innescare una rivolta nella coscienza della sua gente, la stessa che animò grandi scrittori come Salamov e Solzenicyn contro l’impero della menzogna comunista: non è un caso che Saviano abbia indicato, come riferimento morale, proprio «I racconti di Kolyma» che è la più grandiosa e sconvolgente opera letteraria di denuncia della bestialità del Gulag assieme all’«Arcipelago» di Solzenicyn.

[…]

Dispiace che anche Berlusconi sia caduto nell’errore di considerare «la letteratura come Gomorra o le serie della Piovra» solo come una pessima pubblicità all’Italia, tra l’altro facendo confusione due volte: Gomorra è un’inchiesta coi controfiocchi che ha rivelato al mondo ciò che neanche tanti giornalisti italiani sapevano, mentre La Piovra è la caricatura, in fiction, di una mafia immaginifica che non è neppure mai esistita, ma che viene replicata all’infinito per buona grazia del tafazzismo nostro e dello sciovinismo d’oltreconfine.

[…]

Roberto Saviano, che tra l’altro ha rivelato gran stoffa letteraria e straordinario talento giornalistico, in questa rivolta morale ha scommesso la sua vita fin dal principio. Ora, ad appena 31 anni, deve vivere da fuggiasco, superblindato, prigioniero, senza una vita privata. Qualche volta ha ceduto, e ha detto: non lo rifarei. Merita almeno il rispetto di chi sta con il culo al caldo.

Luca

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diritti umani

Se soltanto potessimo dire della vergogna del 41-bis

Il tenutario del blog, che da molti anni si interessa a tempo perso alle questioni inerenti i diritti umani, è da sempre contrario al 41-bis e sposa, per una volta, Filippo Facci e quanti vorrebbero l’abolizione di questa norma ingiusta:

Non puoi avere carta per scrivere, penne, giornali, fotografie di nessuno, non più di due pacchi al mese, non puoi comprare cibo né niente, le tue lettere vengono lette, non puoi tenere nessun oggetto – solo un libro, uno solo – e non puoi lavorare o studiare o fare attività fisica. Puoi passeggiare due ore al giorno in cortili stretti con recinzioni e griglie, le finestre hanno una rete a maglie strette e una tapparella di ferro. Non puoi avere più di due magliette al mese, niente messa, non puoi presenziare nell’aula del tuo processo, puoi vedere i tuoi familiari per un’ora al mese attraverso un vetro e un citofono, e per dieci minuti i tuoi bambini: e qui le scene più penose, perché spesso sono in tenera età e piangono, urlano, scappano dal padre che non hanno mai visto o non riconoscono dopo anni.

Ora: questa cosa si chiama 41-bis, cosiddetto «carcere duro», ma si chiama anche tortura legalizzata: perché è un articolo di legge che col pretesto di isolare un detenuto mira in realtà a fiaccarlo e annullarlo nel corpo e nella mente. Non c’è docente di diritto che non lo giudichi incostituzionale, e un giudice americano giunse a negare l’estradizione di un boss perché il nostro 41 bis – disse – corrispondeva a tortura. Ieri l’on. Giuseppe Gargani, su Libero, ne ha proposto l’abolizione o almeno la modifica: mi onoro di affiancarlo. Ma parlar male di Garibaldi, nell’Italia di oggi, in confronto è niente.

Si lo so che Falcone e Borsellino erano strenui difensori del 41-bis e che forse il suo utilizzo è stato utile nella lotta alla mafia.
Ma quando una cosa è sbagliata, lo è in ogni caso.

Amnesty International lo denunciò già nel 2003:

C’è preoccupazione che il cosìdetto regime di massima sicurezza 41-bis […] possa in certi casi essere considerato un tratttamento crudele, inumano e degradante.

In un paese moderno dovremmo poter discutere anche del 41-bis senza doverci dividere in amici e nemici della mafia.
Prima di tutto dobbiamo essere amici dell’uomo e dei suoi diritti.
Il 41-bis certifica che ci sono uomini meno uomini di altri.
E questo, in uno stato moderno, è inaccettabile.

Luca

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libri

Il Di Pietro di Filippo Facci

A me appassionano le contro-storie.
Quelle che raccontano le storie da un altro punto di vista, quello meno popolare.

Domani esce per Mondadori “Di Pietro – La storia vera” scritto da Filippo Facci.
Si parla di Mani Pulite, degli anni delle inchieste, degli avvisi di garanzia e dei suicidi in carcere.
Io che nel 1993 avrei voluto vedere tutti i corrotti ed i corruttori, veri o presunti, in carcere, oggi vorrei saperne di più.

Sulla figura di Di Pietro credo si siano dette tante cose, ma sono convinto che se ne nascondano anche molte altre.
Filippo Facci, nemico giurato di Di Pietro, lavora a questa biografia praticamente da 15 anni.
Il fatto che in rete non si trovi quasi nessuna notizia del libro che esce domani può essere un indice di quanto sia difficile parlar male dell’ex-magistrato di Mani Pulite.

una biografia decisamente non autorizzata che per 528 pagine scava in un passato che lo stesso Di Pietro tende misteriosamente a dissimulare: dai pascoli molisani all’emigrazione in Germania, dalla sorveglianza di armamenti della Nato a una laurea conseguita in soli trentadue mesi, dal ruolo di agente dell’anti-terrorismo a quello di viaggiatore in scenari da spionaggio internazionale, dalla stretta amicizia con una combriccola di potenti al suo averli passati per le manette uno per uno

Su Macchianera sono state pubblicate alcune parti del libro, tra cui il fuori-capitolo nel quale Facci racconta la sua vita di giovane giornalista negli anni di Mani Pulite.

In tutto questo la situazione si era fatta ancora più complicata perché la sede romana dell’«Avanti!» vedeva nella redazione milanese un avamposto craxiano – ciò che era – e man mano che decresceva il potere di Craxi cresceva anche il tentativo di isolarci e di toglierci peso. Io formalmente neppure esistevo: non avrei potuto neanche stare in redazione; il direttore di allora, su cui non esprimo un’opinione perché non ho l’immunità parlamentare, si chiamava Roberto Villetti e ogni tanto telefonava da Roma per sincerarsi che io fossi rimasto a casa o scrivessi comunque da fuori, quando invece in redazione praticamente ci dormivo. A un certo punto, in un periodo in cui peraltro non arrivava più una lira perché le tangenti erano finite – questo l’avrei appreso poi – Villetti prese a togliermi anche la firma dagli articoli: ma neppure sempre, a giorni alterni, quando capitava. Pensai di aggirare l’ostacolo ricorrendo alla doppia firma col mio caporedattore milanese, Stefano Carluccio, un amico: ma a un certo punto il direttore risolse togliendo solo la mia firma e lasciando quella di Carluccio sotto articoli che però avevo scritto io.

Nell’insieme: lavoravo da abusivo per il giornale dei ladri, ero disprezzato dai colleghi e da chiunque in quel periodo sapesse dove scrivevo, completamente gratis, in teoria non potevo neppure entrare in redazione e sotto i miei articoli c’era la firma di un altro.

Però c’era la salute.

Credo che sia un libro che possa valer la pena leggere.
La realtà è sempre più complessa di quanto non sembri a prima vista.

E pensare che Di Pietro possa essere un angelo del paradiso a me pare ingenuo.

Luca

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informazione politica

Torno a parlare di Berlusconi

L’intervista a Filippo Facci andata in onda ieri sera ad Anno Zero è molto significativa.
Avevo già fatto notare che la sua uscita da Il Giornale era un segnale non trascurabile.
Facci era amico di Craxi, è stato un fiero nemico di Mani Pulite, di Di Pietro e tutto quel mondo.
Si è sempre preso gioco di chi gridava al regime.

Se oggi lui dice che in Italia oggi c’è un problema di libertà di stampa, forse c’è da credergli.
Cuorioso anche che l’unica censura che abbia mai subito, dice sia stato quando voleva scrivere un articolo critico sulla legge contro la prostituzione fatta dalla Carfagna.

Il video integrale è sul sito di Rai.Tv

Luca

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informazione politica

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Filippo Facci si è dimesso da Mediaset e dopo 15 anni non scrive più su Il Giornale.
Su Macchianera ha pubblicato l’articolo che è uscito ieri su Libero.
Parla di Fini e di come solo in Italia lo si possa considerare “di sinistra”.
E critica soprattutto chi vorrebbe che Fini rientrasse dei ranghi, dimenticando la terza parola che compone la sigla PDL.

Ha fatto bene? Ha fatto male? Chissà. A oggi sappiamo solo che tutto questo è servito per ritrovarsi stampate nero su bianco, un bel mattino, le ciniche espettorazioni giornalistiche di chi gli ha intimato di punto in bianco: «Rientra nei ranghi, sei ridicolo».

I ranghi.
A pensarla come Gianfranco Fini sono in milioni, nel centrodestra, e in milioni fisiologicamente non la pensano come lui: volete smembrare gli uni dagli altri, ciascuno nel suo preciso rango? Non è difficile: basterebbe tornare alla Repubblica multipartitica, basterebbe non mettersi in testa fondare il più grande partito della storia d’Italia come però, ecco, è stato fatto: un crogiolo composito, complesso, ridondante, soprattutto molto più e ambizioso dei ranghi da caserma prefigurati da qualche bollito con in mano il Winchester. La terza parola che compone il nome del partito – il Pdl – forse andrebbe riletta e riletta sino a stamparsela nel cranio una volta per tutte.
Mica i ranghi.

Filippo Facci è un cane sciolto. Non conta niente.
Certi segnali, però andrebbero interpretati.

Luca