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Cortocircuito del giorno

Ieri è successa una cosa piuttosto interessante dal punto di vista della comunicazione.
Ingroia dice che le critiche fatte a lui per aver deciso di scendere in politica non sono nuove, in fondo anche Falcone fu aspramente criticato quando decise di andare a Roma per collaborare con Claudio Martelli, allora Ministro di Grazia e Giustizia.
E qui sta la prima inesattezza, perché Falcone mica fondò una lista elettorale e si candidò al parlamento.

La Boccassini, intervistata da La7 dice che Ingroia non si doveva paragonare a Falcone, visto che lui è un piccolo magistrato, e che si deve vergognare.
Ma Ingroia mica si era paragonato a Falcone, aveva solo detto che altri magistrati prima di lui erano stati criticati. Si, lo so, per altri motivi, ma sempre criticati furono.

Insomma, non è facile capire chi tra Ingroia e la Boccassini abbia perso la migliore occasione per starsene zitto.

Luca

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Cosa diceva Falcone del Terzo Livello. E cosa gli fanno dire oggi

A furia di ricordarlo e di parlarne, mi è venuta voglia di leggere cosa scriveva Giovanni Falcone ed ho letto Cose di Cosa Nostra, il libro che il giudice scrisse nel 1991, poco prima della sua morte.

Falcone fa un quadro della mafia, anzi di Cosa Nostra, della sua organizzazione piramidale, dei suoi affari, delle sue vendette, del modo con il quale sia riuscita a sostituire lo Stato in una porzione del territorio italiano.

Molte cose le conoscevo, le avevo lette altrove, le avevo sentite raccontare da Falcone nelle sue interviste in TV.

Nell’ultimo capitolo c’è però una cosa interessante, che non avevo mai letto.
Falcone parla del famoso Terzo Livello, che sarebbe quello della politica, dei poteri forti diremmo oggi, che sarebbe il vero mandante degli omicidi di mafia.
Sappiamo come le stragi del 92 siano spesso state imputate a questo misterioso Terzo Livello rappresentato, secondo le ipotesi più audaci, da Berlusconi.

Ecco, Falcone scrive che il Terzo Livello, quello che alcuni riterrano responsabile della sua uccisione, è soltanto un fraintendimento. Non esiste nessun terzo livello. Anzi, chi lo cerca, non fa che ritardare le indagini e complicare il lavoro dei magistrati.

Vi riporto tutta la parte del capitolo finale in cui ne parla.
Mi pare molto interessante.

Questi crimini eccellenti, su cui finora non si è riusciti a fare interamente luce, hanno alimentato l’idea del «terzo livello », intendendosi con ciò che al di sopra di Cosa Nostra esisterebbe una rete, ove si anniderebbero i veri responsabili degli omicidi, una sorta di supercomitato, costituito da uomini politici, da massoni, da banchieri, da alti burocrati dello Stato, da capitani di industria, che impartirebbe ordini alla Cupola. Questa suggestiva ipotesi che vede una struttura come Cosa Nostra agli ordini di un centro direzionale sottratto al suo controllo è del tutto irreale e rivela una profonda ignoranza dei rapporti tra mafia e politica. L’idea del terzo livello prende le mosse, distorcendone il significato, da una relazione svolta da me e dal collega Giuliano Turone ad un seminario del 1982 a Castelgandolfo. Insieme avevamo redatto un rapporto sulle tecniche di indagine in materia di delitti mafiosi. Avevamo sottolineato che la mafia non è un’organizzazione che commette delitti suo malgrado, ma un sodalizio avente come finalità precipua il delitto; per esigenze sistematiche avevamo distinto i delitti «eventuali», come li avevamo definiti, da altri «essenziali». In altre parole, i reati come contrabbando, estorsioni, sequestri di persona, cioè i delitti per cui si è costituita l’organizzazione mafiosa, li avevamo classificati di «primo livello ». Al «secondo livello» avevamo classificato i reati che, non costituendo la ragion d’essere di Cosa Nostra, ne sono tuttavia l’indiretta conseguenza: per esempio, l’omicidio di un uomo d’onore che si è macchiato di uno sgarro nei confronti dell’ organizzazione. Restavano i reati non classificabili né come essenziali o strutturali (di primo livello), né come eventuali (di secondo livello), ma che venivano perpetrati in un dato momento per garantire la sopravvivenza dell’organizzazione: l’omicidio di un prefetto, di un· commissario di polizia, di un magistrato particolarmente impegnato. Ecco quindi il delitto di «terzo livello ». Attraverso un percorso misterioso, per non so quale rozzezza intellettuale, il nostro terzo livello è diventato il «grande vecchio », il «burattinaio», che, dall’alto della sfera politica, tira le fila della mafia. Non esiste ombra di prova o di indizio che suffraghi l’ipotesi di un vertice segreto che si serve della mafia, trasformata in semplice braccio armato di trame politiche. La realtà è più semplice e più complessa nello stesso tempo. Si fosse trattato di tali personaggi fantomatici, di una Spectre all’italiana, li avremmo già messi fuori combattimento: dopotutto, bastava un James Bond. Ciò non toglie che sia legittimo e doveroso chiedersi come mai non· siamo ancora riusciti a scoprire i mandanti degli omicidi politici. A parziale discolpa, potremmo dire che non abbiamo ancora scoperto neanche molti autori di delitti non politici. Ma sarebbe una giustificazione meschina. In realtà, trovo utopico pensare di risolvere i delitti del «terzo livello» se prima non sono stati risolti quelli dei livelli precedenti. Considero poi che la ricchezza crescente di Cosa Nostra le dà un potere accresciuto, che l’organizzazione cerca di usare per bloccare le indagini. Mi sembra infine che le connessioni fra una politica «affarista» e una criminalità mafiosa sempre più implicata nell’economia, rendono ancora più inestricabili le indagini. Con questo risultato finale: lo sviluppo di un sistema di potere che si fonda e si alimenta in Sicilia sulle connivenze e sulle complicità mafiose e che costituisce un ostacolo in più per delle indagini serene ed efficienti.

Per farvi capire quanto Falcone sia citato a sproposito, ecco quanto ha detto Di Pietro qualche settimana fa, in occasione dell’anniversario di Capaci:

Oggi ricordiamo un grande uomo, un servitore dello Stato che ha dato la sua vita per la legalità, la giustizia e la democrazia. Giovanni Falcone è stato il primo a parlare di ‘terzo livello’, della commistione tra politica e mafia.

Peccato che Falcone avesse parlato del terzo livello soltanto per negarne con forza l’esistenza.
L’ignoranza, è questo il più grave crimine dei nostri politici.

Luca

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E ogni anno il pensiero torna a Giovanni Falcone

Nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci, ci riempiamo tutti la bocca con il ricordo di Giovanni Falcone.

Tanti, tra quelli che lo ricordano, furono quelli che lo lasciarono solo, lo infangarono, lo delegittimarono.
Da Leoluca Orlando, che quasi lo accusò di essersi messo da solo la bomba del fallito attentato all’Addaura, fino a Repubblica e L’Unità, giornali per i quali il giudice è in seguito diventato un simbolo.
Guardatevi questa intervista che Corrado Augias gli fece pochi mesi prima della sua morte, nella quale in pratica lo accusa di essersi accomodato al Ministero e di averlo deluso.

Per non lavarsi le coscienze troppo velocemente, vi consiglio di leggere la cosa che ha scritto oggi Filippo Facci che ricorda quanti in quegli anni erano avversari di Falcone.

I vicini di casa, i colleghi magistrati, persino gli amici, poi i giornalisti, persino i mafiosi. Parrà strano, ma dopo tutto questo, e prima della strage di Capaci, Giovanni Falcone era ancora vivo.

Del resto, sempre Facci ricorda cosa scrive Giovanni Brusca di Falcone:

Sono responsabile della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, ho strangolato parecchie persone, ho sciolto i cadaveri nell’acido muriatico, e, prima di farlo, molti li ho carbonizzati su graticole costruite apposta… Il mio risentimento nei confronti di Falcone era identico a quello di tutti gli affiliati a Cosa Nostra: era il primo magistrato, dopo Rocco Chinnici, che era riuscito a metterci seriamente in difficoltà. Era riuscito a entrare dentro Cosa Nostra, sia perché ne capiva le logiche, sia perché aveva trovato le chiavi giuste. Lo odiavamo, lo abbiamo sempre odiato… Prendemmo la decisione iniziale di ucciderlo, per la prima volta, alla fine del 1982.

E, come dice Facci, prima di Capaci, Falcone era ancora vivo.
E tutti, certamente in modo involontario, fecero in modo che Brusca quel tritolo sotto l’autostrada potesse metterlo davvero e quel detonatore potesse farlo esploderlo davvero.
E quando successe, Falcone era ancora vivo.

E dopo le lacrime furono vere, ma tardive.
Giovanni Falcone morì da solo.
Val la pena ricordarlo.

Luca

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Saviano, ieri sera

Ieri sera, mentre sistemavo la cucina, mi sono messo ad ascoltare l’intervento di Saviano al Festival del Giornalismo di Perugia.
Lo davano su SkyTG24 Active (sempre sia lodato).

Il tema era il suo solito cavallo di battaglia.
La macchina del fango (qui la sintesi del suo intervento).

Saviano è molto bravo e l’ho ascoltato con piacere.
Penso che abbia molta ragione anche se credo che tenda sempre a forzare la mano, a drammatizzare eccessivamente.
Per forza, direte voi, vive sotto scorta da anni.
E infatti, mica gliene faccio un torto.
E’ una piccola critica, per altro veniale.

Ma non è questo che volevo dire.

Il mio ragionamento è su chi è il bersaglio di Saviano.
Ovvio che siano i Sallusti, i Feltri ed i Belpietro.
Ma non solo loro.
Perché Saviano cita sempre la vicenda di Falcone e di come venne considerato un traditore quando fu chiamato a Roma da Martelli. In quel caso la macchina del fango fu mossa da Repubblica e da molti di quelli che oggi manifestano per i giudici.

Saviano, poi si scaglia molto contro il qualunquismo, il sono tutti uguali, fa tutto schifo, così fan tutti.
Il suo bersaglio in questo caso è anche il popolo di chi scrive cento volte al giorno “Vergogna!” su Facebook o di chi vede nei politici un blob indistinto.

E allora mi viene da pensare che Saviano alla fine piaccia molto a persone contro il cui modo di pensare lui si batte.
Che forse, molte delle persone che lo acclamano, nemmeno l’hanno ascoltato un suo discorso e Gomorra l’hanno comprato si, ma non l’hanno nemmeno aperto.

Tutto questo va a merito di Saviano, che dice le cose che pensa, senza voler gratificare il suo pubblico.
Ma tutto questo mette anche molta tristezza, perché la gente mica l’ha capito cosa dice Saviano.

E se l’avesse capito, forse scriverebbe “Saviano, VERGOGNA!” su Facebook.

Poi magari sono io a non averci capito niente.
Ma l’impressione è che Saviano voli alto, forse troppo per riuscire a stargli dietro.

Luca

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Non è che siamo diventati tutti amici dei mafiosi

Pino Arlacchi, storica figura dell’antimafia, amico personale di Falcone e Borsellino, si è autosospeso dal suo partito, l’IDV, dopo le dichiarazioni di Di Pietro seguite alle contestazioni contro Schifani alla festa del PD di Torino.

Sono lontano anni luce da Renato Schifani, mi batto da una vita contro gli ambienti geopolitici da cui proviene il presidente del Senato. Non l’avrei invitato a nessun dibattito, inutile dirlo. Però – e qui è il punto – fino a che non ci saranno prove certe emerse da procedure democratiche e nel pieno rispetto dei suoi diritti costituzionali, Schifani non può essere etichettato e additato al pubblico ludibrio come mafioso e non può essere né insultato né zittito. Se si trova in un’occasione pubblica ha il diritto di parlare. Vale per qualunque cittadino. Chi ignora queste cose, distrugge la credibilità di ogni lotta per la legalità.

Se c’è un merito del movimento antimafia italiano, me lo lasci dire, è quello di aver sempre rifiutato qualunque forma di protesta violenta e incivile. Dalla sua nascita, negli Anni 40, fino a quando negli Anni 90 è diventato movimento di massa, era ben presente un filo comune: nessuna concessione alla violenza fisica e verbale. È sempre stato un movimento democratico guidato da persone illuminate che hanno saputo incanalare la giusta incazzatura della gente nell’alveo democratico.

neanche nei momenti più difficili, abbiamo pensato di privare dei suoi diritti un criminale. Abbiamo saputo costruire dei miracoli come il maxiprocesso senza torcere un capello ai mafiosi. Questo è il grande patrimonio dell’antimafia che bisogna maneggiare con cura. I ragazzi con le agende rosse? Non li capisco. Anche perché probabilmente Paolo Borsellino non aveva proprio nulla di segreto in quella sua agendina: lui e Giovanni Falcone odiavano i diari, è noto. Ma indipendentemente da questo, a chi sta protestando dico: continuate ad arrabbiarvi e manifestare, però nel rispetto delle regole e della democrazia. E leggete più libri, oltre ai giornali e agli atti giudiziari.

Di Pietro non lo riconosco più. Mani pulite è stato un altro grande esempio di democrazia che si è fatta sentire. Però i processi non si sono mai svolti su Facebook e sui giornali ma nei tribunali.
Il perché di questa trasformazione del leader idv Arlacchi lo intravede nel timore che «forse ha di Beppe Grillo e dei suoi consensi. In modo ingiustificato, secondo me. Inseguire quelle posizioni estreme, gliel’ho detto più volte, non paga. E allontana il progetto di rendere l’Idv un grande partito di popolo capace di parlare a tutti. Si sta cacciando in un cul de sac. Per questo mi autosospendo. E finché non vedo un’inversione di rotta non torno indietro.

Luca

Via | Francesco Costa