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Minacciare sempre l’abisso e non capirci mai niente

Guardiamo tutti all’America, ma la conosciamo poco.
O meglio, anche chi conosce l’America, conosce pochissimo gli americani che hanno votato per Trump.
Che sono gli americani della provincia, quelli dei distretti industriali, quelli che la ripresa economica l’hanno sentita evocare in TV, ma che non l’hanno ancora vista avere effetti sulla loro vita.
Era il 2008 e da quella crisi si sono riprese le banche (alcune), le borse (alcune), il mondo della finanza (in buona parte), la classe dirigente (tutta, o quasi).
Sono passati 8 anni e da quella crisi i cittadini normali non si sono ripresi affatto.

In questi anni abbiamo quindi assistito ad un paradosso.
Da una parte, i giornali e le TV ci raccontavano di una crisi ormai alle spalle (più in America che in Europa, meno ancora in Italia), dall’altra i cittadini la crisi la vivevano tutti i giorni nei loro conti in banca sempre sulla linea del galleggiamento, quando era sufficiente una spesa imprevista per far saltare il banco e magari la famiglia.

In questo paradosso si è poi inserita una comunicazione politica che è stata incapace di spiegare ai cittadini cosa stesse realmente succedendo.
E la colpa non è della comunicazione, ma della politica.
In questo scenario di grande fraintendimento, la classe dirigente (politica, finanziaria, economica) è riuscita a fare una cosa soltanto.
Ha iniziato a paventare cataclismi.
Invece di spiegare perché si continuasse a parlare di ripresa economica quando la maggior parte delle persone stava ancora molto peggio del 2008, ha iniziato a minacciare i cittadini sulle possibile conseguenze catastrofiche che possibili cambiamenti strutturali avrebbero provocato.
Se vince la Brexit, morirete tutti.
Se vince Trump, scoppierà le terza guerra mondiale.
Se vince il No al referendum costituzionale italiano, allora preparatevi a conseguenze tremende sulla nostra economia.

In poche parole, se le cose non andranno come la classe dirigente ha deciso che devono andare, allora crollerà giù tutto.

Ma le persone, o almeno molte di loro, è quello che vogliono.
Che crolli giù tutto.
Vogliono soprattutto assistere al fallimento di quella classe dirigente che continua a raccontare di miglioramenti macroeconomici che non hanno nessun effetto sulla loro vita e sul loro benessere.

Inutile dire che è un errore clamoroso fatto da chi dovrebbe conoscere meglio le persone e le loro necessità.
È un errore in cui è caduto anche Matteo Renzi che, almeno all’inizio, ha fatto intendere che la vittoria del No al referendum costituzionale avrebbe portato alla fine del suo governo e a conseguenze imprevedibili sul nostro paese.
Che poi è tutto giusto, perché Renzi si dovrebbe davvero dimettere in caso di sconfitta e le conseguenze sarebbero davvero imprevedibili.
Ma se dici alle persone che se vince il No, allora l’attuale classe dirigente se ne tornerà a casa e tutto cambierà, allora la gente andrà a votare in massa per il No.

È un antico vizio italico, soprattutto della sinistra.
Ci abbiamo messo 20 anni a capire che per battere Berlusconi era innanzitutto necessario smettere di trattarlo come l’anticristo e smettere soprattutto di considerare idioti tutti quelli che l’avevano votato.
Renzi questa cosa la capì e la mise in pratica.
Ora pare essersene scordato.
Tutta la retorica sui gufi, le battute sui cinquestelle, la prosa saputella di chi la sa lunga, è perdente.

Con Trump è successa più o meno la stessa cosa.
Se voti Trump crollerà tutto il mondo come l’avete conosciuto, chi lo vota è un’idiota, razzista, misogino e stupido.
Se me lo dici tu, che in questi anni non sei riuscito a migliorare la mia vita di una virgola, allora si, grazie, vado a votare per Trump.
E anche di corsa.

Luca

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politica

Voi che ve ne fregate dello spread

Mario Deaglio su La Stampa spiega piuttosto bene perché non possiamo fregarcene dello spread.

Il menefreghismo applicato al debito rappresenterebbe il suicidio finanziario, e non solo, del Paese per almeno tre motivi. Il primo – del quale si è avuto un segno premonitore con le forti cadute dei titoli bancari nella giornata di ieri – sarebbe rappresentato dal crollo delle banche, che hanno investito gran parte delle risorse finanziarie a loro disposizione precisamente in titoli del debito pubblico italiano, il cui valore precipiterebbe. Il secondo sarebbe la distruzione della cospicua parte dei risparmi finanziari degli italiani, investita in titoli statali. Il terzo sarebbe l’evidente difficoltà del Paese a trovare all’estero nuovi prestatori, dei quali avrebbe disperato bisogno.
L’Italia sarebbe costretta a riadottare la lira – o una nuova moneta nazionale – che si svaluterebbe immediatamente nei confronti dell’euro e del dollaro.

A questo punto, i risparmi non divorati dalla svalutazione del debito pubblico sarebbero distrutti da un’inflazione galoppante in quanto i prezzi dei beni importati andrebbero alle stelle, a cominciare da quelli dei prodotti petroliferi. Certo, le merci italiane ritornerebbero temporaneamente competitive, ma le imprese dovrebbero rapidamente rialzare i prezzi per l’aumento dei costi delle materie prime importate. La messa al bando dall’Unione Europea e la chiusura delle frontiere dei nostri partners alle merci italiane ne sarebbero ulteriori, possibili conseguenze.

Dietro al baratro finanziario si profilerebbe così un abisso economico-sociale, e quindi anche politico, un’eventualità della quale i cittadini devono prendere coscienza.

Lo so che nel paese di Biancanve lo spread non esiste, è una roba inventata dalla regina cattiva per soggiogarci ai suoi voleri.
La realtà è che se lo spread supera un limite critico, andiamo tutti a gambe all’aria.
Ed andare a gambe all’aria significa che il prossimo mese, ci dispiace, ma non possiamo pagarti lo stipendio.
E una volta tanto, partendo dai dipendenti pubblici.

Poi fate come vi pare.
Che ve lo meritereste pure lo spread a 600.

Luca

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C’hai il pisello piccolo e la mamma maiala

firenze

Le parole di Marchionne su Firenze (“città piccola e povera”) per replicare alla forzata dichiarazione di Renzi contro il fallimento del progetto Fabbrica Italia appaiono sconclusionate e fuori luogo.

Renzi ha forzato la mano, dicendo che Marchionne avrebbe preso in giro i lavoratori ed i politici con la mancata attuazione degli investimenti in Italia, perché Marchionne non ha preso in giro nessuno, ha semplicemente fallito. Doveva produrre, e quindi vendere, molte più macchine di quando il progetto è iniziato, e ne vende addirittura di meno.
Certo, la crisi, il costo dei carburanti, tutto quello che vogliamo, ma Marchionne ha fallito. Non ha preso in giro nessuno, oggi sarebbe lui il primo ad essere felice per il successo della FIAT in Italia.

All’attacco molto elettoralistico di Renzi, Marchionne ha però replicato in modo inaccettabile.
Avrebbe dovuto dire “Che ne sai tu, ragazzino, che in fondo non sei che il Sindaco di una città di medio-piccole dimensioni, per di più mantenuta piuttosto male, mentre io sono a capo di un grande gruppo automobilistico?”.
Ed invece se ne è venuto fuori con la città piccola e povera che è una affermazione che non ha nessun senso.
Firenze è si una città di piccole dimensioni, ma è una città immensa in quanto a storia, contenuti artistici, flussi turistici.
Ed è tutt’altro che povera.

Proprio il suo essere una città tutt’altro che povera rende inaccettabile il suo stato di mantenimento.
Il lunedì mattina il centro di Firenze è una latrina imbarazzante.
Discutiamo di questo.

Con le sue affermazioni Marchionne non ha fatto altro che rendere un po’ più semplici le primarie di Renzi ed un po’ più complicata la vita degli uffici commerciali delle concessionarie FIAT del fiorentino.
Il CEO di un grande gruppo automobilistico dovrebbe essere molto più attento a quello che dice.
E magari liberarsi di quella spocchia intollerabile.

E comunque, stanno facendo di tutto per far vincere le primarie a Renzi.

Luca

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siena

La Siena che verrà S01e01

Il comunicato stampa con il quale il Monte dei Paschi annuncia riduzioni salariali (a partire dai dirigenti) in alternativa a possibili tagli occupazionali dà il via a quello che sarà il prossimo futuro della nostra città.

L’ulteriore fase di riorganizzazione – che riguarda il perimetro complessivo dei dirigenti del Gruppo, compreso il Top management – porterà a contrattare riduzioni salariali sulla base di criteri di equità interna ed esterna.

Le proposte di contenimento dei costi per tutti i dipendenti (circa 31.000) – che possono comprendere anche la riduzione dell’orario di lavoro con l’adozione di eventuali ‘Contratti di solidarietà’ – saranno argomento di trattativa con le Organizzazioni Sindacali.

Da quanto pare di capire, le organizzazioni sindacali hanno parecchie riserve, visto che hanno proclamato uno sciopero generale per il 16 Marzo.
Ovviamente i sindacati ragionano con modalità a me oscure, visto che una delle loro principali preoccupazioni pare essere la prevista riduzione delle ore di straordinario, obiettivo che dovrebbe essere prioritario per chiunque abbia a cuore il lavoro e i lavoratori.

Il piano stabilito dal Cda, prevede il contenimento del lavoro straordinario e delle assunzioni, contratti di solidarietà e riduzione non retribuita dell’orario, mobilità interna, sospensione del sistema incentivante e del premio aziendale.

In ogni caso, l’alternativa rispetto alla proposta del nuovo direttore generale, sembrerebbe essere quella di 1500 licenziamenti.

Millecinquecento licenziamenti.
Monte dei Paschi.
Siena.
2012.

Pare un film catastrofista.
Non lo è.

Luca

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siena

La Siena che verrà

palazzo sansedoni

Ieri sera nel bus un tweet di David Allegranti mi fece sobbalzare dal mio torpore.

La Fondazione vende quote della sua partecipazione in MPS e di fatto non sarà più lei a controllare la Banca.

Stamattina pensavo di trovare gli zombie per le strade, i cassonetti incendiati, i palazzi in fiamme.
Invece niente.
Il bus dei bancari era triste come al solito.
Tutti facevano finta di niente.

Siena è così.
Niente ci scuote, convinti di averle già viste tutte, illusi di essere ancora il centro della civiltà.

Ieri, in realtà, è successa una cosa molto importante, che cambierà il destino della nostra città.
Ci saranno grandissime ricadute occupazionali, sarebbe sciocco non prevederle.

Certo che la banca resta e le filiali non chiuderanno.
Ma c’è tutta una rete di servizi che gira intorno alla banca il cui destino diventa molto incerto.
Per non pensare a tutte le realtà, specialmente quelle cooperative, che hanno potuto svilupparsi grazie ai contributi a fondo perduto della Fondazione.

Ecco, io oggi mi aspettavo di trovare del panico in città.
Invece, la civetta de La Nazione aveva un titolo con grandezza ben inferiore a quella usata per raccontare un successo della Mens Sana o della Robur.

Ma noi senesi siamo fatti così.
Niente ci spaventa.
Abbiamo vinto la battaglia di Monteaperti, cosa vuoi che ci possa fare un’operazione bancaria.

Ecco, stiamo pure sereni.
Ma le cose cambieranno.
E parecchio.

Luca