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Le candidature di Ingroia

Ingroia è appena arrivato in politica, ma pare che sia riuscito a capire benissimo i meccanismi della legge elettorale.

Alessandro Gilioli racconta come siano state redatte le liste di Rivoluzione Civile con Ingroia.

Funziona così: Ingroia è capolista in tutti i collegi, ma ovviamente dopo il voto dovrà “optare” per uno solo, quindi in tutte le altre circoscrizioni entreranno i secondi in lista. Questi secondi in lista sono appunto la cosiddetta ’società civile’. Tuttavia anche questi candidati sono stati piazzati in più di un collegio, sempre al secondo posto dopo Ingroia, quindi dovranno optare per uno dei due. Ecco che ai terzi posti, che quindi entrano di diritto, sono stati infilati i vertici di partito (ad esempio Di Pietro in Lombardia, ma come lui anche gli altri, secondo un ‘Cencelli’ concordato fra i quattro partiti).
Non so, vedete voi. A me sembra un uso estremo e un po’ spregiudicato del Porcellum. E credo che questo sistema non sia migliore – in termini di onestà e di trasparenza verso gli elettori – che mettere semplicemente in lista, dal primo all’ultimo, dirigenti e funzionari.
Poi c’è la ciliegina di Sandro Ruotolo, ottimo giornalista, che sarà il candidato governatore di Rivoluzione Civile nel Lazio. Ma Ruotolo è anche candidato alla Camera in Rivoluzione Civile, in posizione blindata. E questo perché il candidato governatore di una regione se non vince non diventa automaticamente consigliere regionale. Quindi resterebbe a spasso. Di qui la doppia candidatura. Che pertanto, nel caso della Regione, è una candidatura civetta.

Gilioli è molto più buono di me con Ingroia, perché io penso che non si sarebbe dovuto prestare a fare da rappresentante di tutta un’accozzaglia di partiti che, senza di lui, non sarebbero riusciti ad entrare in parlamento.

L’ambizione personale è giusta, ma non dovrebbe essere inseguita ad ogni costo.

Luca

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Frase del giorno

È come dover chiedere permesso al padrone per esprimere una mia idea in quanto persona. Ma Grillo ha chiesto il permesso a qualcuno prima di candidare Di Pietro a presidente della Repubblica o quando deve chiamare Matteo Renzi ebetino?

Federica Salsi in Consiglio Comunale a Bologna dopo la fatwa di Beppe Grillo.

Luca

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C’è Paolo Flores d’Arcais in autostrada contromano

Paolo Flores d’Arcais è un esimio intellettuale, direttore di MicroMega e chissà quante altre cose insieme.
Wikipedia lo definisce così:

è un filosofo, pubblicista e ricercatore universitario italiano, direttore della rivista MicroMega. È anche collaboratore de Il Fatto Quotidiano, El Pais, Frankfurter Allgemeine Zeitung e Gazeta Wyborcza.

Ma i Paolo Flores d’Arcais sono anche una categoria di persone.
Sono quelli sempre dalla parte dei giudici, anti-berlusconiani per vocazione, ma anche feroci critici del centro-sinistra.

Oggi Paolo Flores d’Arcais propone la sua ultima lungimirante iniziativa.
Votare per Renzi alle primarie per distruggere il PD.

Perché la sua vittoria distruggerebbe il Pd, lo manderebbe letteralmente in pezzi, lo disperderebbe come un sacchetto di coriandoli. E in questo modo i milioni di elettori animati da volontà di “giustizia e libertà” e dall’intenzione di realizzare la Costituzione (tranne l’articolo 7, da abrogare), elettori che credo siano una decisa maggioranza nel paese, non sarebbero più imbrigliati, congelati, manipolati, usati dalla nomenklatura partitocratica (il Pd, ma anche Idv, Sel e residui rifondazionisti). Una situazione del genere sarebbe rischiosa, ovviamente. Ne potrebbe scaturire un peggio.

Ma a forza di “male minore” abbiamo un governo Napolitano-Monti che realizza una legge pro-concussori chiamandola “anticorruzione” e una legge-bavaglio che non era riuscita a Berlusconi.

Al ricatto del “rischio peggio” bisogna sottrarsi, perciò. Solo sulla tabula rasa del fu centro-sinistra potrebbe infatti nascere una forza “giustizia e libertà”, un “partito d’azione” di massa anziché d’élite, propiziato dalla Fiom, dalle testate non allineate, dai movimenti di opinione della società civile in lotta (e da tanti quadri locali del Pd, anch’essi “liberati”).

Del resto non è la prima volta che propone iniziative meritevoli (sempre da Wikipedia).

Nel 1990 aderisce al Partito Democratico della Sinistra di Achille Occhetto entrando nella Direzione del movimento, da cui però fuoriesce due anni dopo poiché favorevole alla guerra del Golfo a differenza della linea maggioritaria del partito. Tra i promotori della breve stagione dei girotondi, tenta di proporre una lista di suoi candidati alle primarie dell’Ulivo per le elezioni politiche del 2006 ma come lui stesso deve ammettere “realizza un fallimento pieno e perfetto” raccogliendo appena 130 adesioni alla sua idea.
Il 25 marzo 2008 annuncia su MicroMega che nelle elezioni politiche del 2008 avrebbe votato per il Partito Democratico in funzione anti-berlusconiana [1]. Il 29 gennaio 2009 decide di ritentare in politica prospettando il “Partito dei Senza Partito” insieme ad Antonio Di Pietro ed Andrea Camilleri per partecipare alle elezioni europee del 2009[2] ma, il 12 marzo dello stesso anno, viene annunciato il mancato accordo fra i tre.

Possibile che non ti venga mai il dubbio di essere te il pazzo ad andare contromano in autostrada?

Luca

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iMille politica

Vendola, Di Pietro e le liberalizzazioni

Ho scritto una cosa per iMille.
Si parla di liberalizzazioni, del PD e dei suoi rapporti con SeL ed IDV.

Si, sono tornato a scrivere su iMille. Era passato un bel po’ di tempo.

Luca

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La differenza tra far politica e far casino


A manovra presentata, ormai si sta delineando piuttosto chiaramente quello che sarà il quadro politico in parlamento.
PD, PDL e terzo polo a sostegno del governo Monti, Lega ed IDV all’opposizione.
Di Pietro, a due settimane dalla fiducia, ha già cambiato idea e si è tirato fuori (a proposito di scegliersi alleati affidabili, ma non è di questo che volevo parlare).

A questo punto chi sostiene il governo può scegliere se continuare a recitare la parte del malato costretto ad ingoiare lo sciroppo amaro, come stanno facendo PD e PDL, oppure se provare a dare un effettivo contributo politico alle decisioni dell’esecutivo.

Il PD si adoperi perché il governo alzi il limite delle pensioni che non verranno rivalutate secondo l’inflazione, tirando dentro tutti quei pensionati con pensioni sotto i 1.500 € (dico una cifrà così), però la smetta con il piagnisteo e con le facce contrite di chi vuol far vedere che non aveva alternative ad ingoiare l’amara medicina.

Perché nella gara delle lamentazioni, dell’indignazione e del chi fa più casino sarà impossibile battere la Lega e Di Pietro.
Loro sono professionisti, fanno quello di mestiere.
Il PD sostenendo Monti può recitare la parte di chi è stato costretto a questa scelta oppure può diventare parte attiva nel realizzare il risanamento e nel controllarne la sua equità.
I voti degli indignati li avrà persi comunque.
Potrebbe guadagnare quelli degli italiani che sapranno riconoscere se i sacrifici fatti avranno avuto un senso.

Come scrive Stefano Menichini, di smemorati a gettone, che fingono di scoprire oggi che la manovra sarebbe stata una batosta, ce ne sono già fin troppi e non è tra loro che deve stare il PD.

Lo scambio proposto da Monti – serietà e salvezza dell’Italia contro sacrifici – può funzionare, nonostante tutte le lacrime che scopriamo un po’ ipocritamente di dover versare, e nonostante le imperfezioni inevitabili quando si lavora fra due schieramenti politici avversi fino a ieri e nel prossimo futuro. Il pericolo per il paese, in questo momento, non è certo nelle stanze dei tecnici del governo, ma nelle stanze ancor meglio riscaldate degli smemorati a gettone che cinicamente giocano sulla sofferenza e incitano alla rivolta.

Luca