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diritti umani

Genova, Luglio, 15 anni fa

Il 20 Luglio 2001 è stato il giorno in cui la generazione di quelli nati negli anni settanta ha perso la sua innocenza.
In un giorno abbiamo aperto gli occhi su quello che il potere può fare contro i suoi stessi cittadini.
In un giorno soltanto abbiamo capito cosa fosse stata la Strategia della Tensione nell’Italia degli anni di piombo.

Furono giornate tremende che non potrò dimenticare.
Eppure, oggi, quando ancora ne parli, capisci che quella strategia in parte funzionò.
In molti sottovalutano Genova, la giustificano, l’hanno dimenticata.

carlo giuliani

Due mesi dopo Genova arrivò l’undici settembre e tutto cambiò.
Lo raccontò alcuni anni fa Nick Davies in un suo reportage pubblicato sul Guardian e tradotto su Internazionale.

Cinquantadue giorni dopo l’irruzione nella Diaz, diciannove uomini usarono degli aerei pieni di passeggeri per colpire al cuore le democrazie occidentali. Da quel momento, politici che non si definirebbero mai fascisti hanno autorizzato intercettazioni telefoniche a tappeto, controlli della posta elettronica, detenzioni senza processo, torture sistematiche sui detenuti e l’uccisione mirata di semplici sospetti, mentre la procedura dell’estradizione è stata sostituita dalla “consegna straordinaria” di prigionieri.

Questo non è il fascismo dei dittatori con gli stivali militari e la schiuma alla bocca. È il pragmatismo dei nuovi politici dall’aria simpatica. Ma il risultato appare molto simile. Genova ci dice che quando il potere si sente minacciato, lo stato di diritto può essere sospeso. Ovunque.

Genova e l’11 Settembre furono uniti da un sottile linea rossa che permise al potere di cambiare le nostre vite lasciandoci in gran parte inconsapevoli.

La notizia di ieri, con l’ennesimo rinvio all’approvazione di una legge che istituisca in Italia il reato di tortura, costituisce la triste coincidenza che ci ricorda quanto lo stato di diritto sia tornato indietro negli ultimi 15 anni.

Luca

Immagine (Reuters/Contrasto) | Internazionale

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diritti umani politica

La ferita

G8 Genova 2001
“Un altro mondo è possibile”. Manifesto per le giornate del summit del G8 di Genova. (Genova 20.07.01). Foto di Giulio Spiazzi

Ho appena finito di leggere La Ferita di Marco Imarisio, giornalista del Corriere, libro sul G8 di Genova, ma che in realtà parla di molte cose successe prima e di moltissime altre successe dopo quei tre giorni disgraziati del 2001.

Il sottotitolo dice molto dell’oggetto di questo libro: “Il sogno infranto dei no global italiani”.
Perché il G8 di Genova è stato si un grave episodio di repressione da parte di uno stato contro i suoi cittadini, violenze e torture comprese, ma è stato soprattutto la morte del movimento no global italiano.

Marco Imarisio parla molto di questo e lo fa molto bene, con un’analisi attenta di chi conosce bene i movimenti e le sue dinamiche.
Ci sono le cronache di quei giorni, il racconto della scellerata carica dei carabinieri in via Tolemaide che spezzò il corteo e generò tutto quello che venne dopo, cè la Diaz e c’è Bolzaneto.
Ci sono anche Luca Casarini e Piero Bernocchi e la loro cialtrona gestione di quei giorni e pure di quelli che vennero dopo.
C’è Fausto Bertinotti ed il suo tentativo di trasformare Rifondazione nel partito del movimento e di quella volta che in un’assemblea in un centro sociale per poco non ne uscì con le ossa rotte.

Se il G8 di Genova è stato per voi, come per me, la perdita dell’innocenza, vi consiglio il libro di Marco Imarisio.

Leggendo il libro ho evidenziato tre passaggi, che vi ripropongo.

Non era mai successo prima, nei fatti si tratta della costituzione di un soggetto politico che ha la sua base nei centri sociali, mai così coesi come in quel momento, e mette al centro del suo impegno i temi dell’immigrazione e della precarietà. Non si ripeterà più, e ancora oggi è lecito chiedersi cosa sarebbe stato di quella esperienza senza la ferita di Genova. Forse le pulsioni violente, che pure c’erano, sarebbero state diluite. Forse sarebbe cambiato lo sguardo delle istituzioni su certe realtà ai margini. Non lo sapremo mai.

Al contingente di cento carabinieri inviato a proteggere il battaglione che sta caricando in via Tolemaide arriva il seguente ordine: “Confermo che devi scendere per corso Gastaldi con tutti i tuoi uomini, però devi fare una cosa veloce e devi massacrare. Capito? Devi massacrare”. Questi sono i fatti che portano alla morte di Carlo Giuliani. Uno strano impasto di imperizia, caos organizzativo, rivalità tra corpi dello stato, odio che ribolliva nella pancia dei suoi uomini. Uno ha sbagliato strada, un altro si è arrabbiato ma non poteva farci nulla, le Tute bianche hanno reagito. Un ragazzo di ventitré anni non è tornato a casa.

C’erano anche loro, i cattolici. Uno degli errori più gravi compiuti dal movimento è stata la costante sottovalutazione del loro contributo. Accolti quando c’era da fare numero, mai ascoltati nelle loro poche richieste per un percorso comune. La Rete Lilliput fondata da Zanotelli è stata forse una delle novità più importanti di quella stagione, capace di mobilitare associazioni e singoli cittadini, di mischiare laici e credenti. È rimasta con il movimento anche quando la ritirata era ormai nei fatti, ricevendo in cambio insulti e insinuazioni da parte della gerarchia cattolica. Non pretendeva molto, per restare.

Se poi vi interessa, su YouTube c’è la presentazione fatta dall’autore.

Luca

Foto | #ioricordogenova

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diritti umani

L’estintore

Nei giorni successivi agli scontri di Roma, parlando della storia del ragazzo arrestato per essere stato fotografato mentre lanciava un estintore, in molti hanno prevedibilmente evocato Carlo Giuliani.

C’è un equivoco che continua ad essere diffuso senza mai essere contraddetto (lo ricordava anche l’altra sera Matteo Bordone a Radionation).
Si è soliti dire che Placanica, il carabiniere, avrebbe sparato a Giuliani mentre lui stava per lanciarli l’estintore.

Placanica, basta guardare le foto per vederlo, in realtà aveva iniziato a puntare la pistola ben prima che Giuliani raccogliesse da terra l’estintore.
Nella foto si vede la pistola puntata contro un ragazzo che indossa una felpa ed il casco, mentre Giuliani è lì accanto con il passamontagna.

placanica e giuliani

Placanica fece una cretinata, commise un grave errore perché puntò la pistola contro dei manifestanti disarmati e poi sparò alla testa ad uno di loro.

Poi facciamo tutte la analisi che vogliamo, ma bisognerebbe partire dal raccontare le cose come sono andate veramente.

Luca

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politica

E poi basta

Christian Rocca ha scritto quello che avrei voluto scrivere io sul viaggio delle spoglie di Vittorio Arrigoni.

Non ho scritto una riga su Vittorio Arrigoni, il militante italiano pro-Hamas ucciso a Gaza. Tantomeno su sua madre Egidia Beretta, sindaco di sinistra di Bulciago. Di fronte alla morte la cosa migliore è stare zitti. Egidia Beretta, come i genitori di Carlo Giuliani e di tutti quelli che hanno perso un figlio, per me può dire tutto quello che vuole e tutto quello che dice è comunque giustificato dal dolore per la scomparsa del figlio.
Mi permetto soltanto di far notare una cosa, visto che Egidia Beretta è anche un rappresentante politico. Egidia Beretta non vuole che il cadavere di suo figlio, ucciso da due miliziani di Hamas, passi per Israele: «Gli israeliani non lo hanno mai avuto in simpatia, lo hanno sempre considerato un soggetto pericoloso e lo avevano anche arrestato e malmenato – ha detto al Corriere oggi – Chi non l’ha mai voluto mio figlio da vivo, non l’avrà neanche da morto».
Sarà anche vero che gli israeliani non hanno mai voluto Arrigoni da vivo. Ma prima o poi Egidia Beretta si dovrà rendere conto che quegli altri l’hanno voluto morto.

Poi dovremo ragionare sui pacifismi, sul diverso modo di intendere la pace, sulla confusione che si fa tra pacifismo e non-violenza, ma non è questo il momento.

Luca

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diritti umani fotografia

Il finanziere e la pistola

finanziere con la pistola

Oggi ho comprato il giornale.
Era parecchio che non lo facevo.
Su La Stampa mi ha colpito la paginata fotografica dedicata alla storia del finanziere che ieri è stato fotografato con la pistola in mano mentre veniva picchiato dai black bloc.

Lo avevano gettato in terra, gli avevano rubato il casco, lo scudo e le manette.
Lui, per timore che gli prendessero pure quella, ha tolto la pistola dalla fondina e l’ha impugnata.
E l’ha tenuta puntata verso il basso, senza mai rivolgerla contro quelli che lo picchiavano.
Aspettando che il colleghi lo liberassero.

Come si dovrebbe fare.
Come non fece Placanica a Genova.
Che la pistola la puntò prima che Carlo Giuliani raccogliesse l’estintore.

A me quel finanziere di ieri è sembrato un bellissimo esempio di come le forze dell’ordine si dovrebbero comportare.

finanziere con la pistola 2

Luca