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Riflessione sul PD del giorno

Francesco Costa ha tristemente molta ragione.

…fin dalla sua fondazione il Partito Democratico si basa sul sostegno del gruppo dirigente e del “corpaccione” degli iscritti al candidato apparentemente più forte, a prescindere dalle sue posizioni politiche. Ma è deprimente: ci sono persone, tante, che in questi sei anni sono sempre state in maggioranza, sempre dalla parte del segretario, chiunque fosse, qualunque cosa facesse. Oggi dicono che “tocca a Renzi” e quindi stanno con Renzi, ignorando le loro responsabilità nel disastro, facendo sì con la testa davanti a cose che ieri contestavano; parlano del disastro allargando le braccia, come se fosse qualcosa che gli è capitato, come se fosse un temporale; domani diranno che “tocca al prossimo” e staranno col prossimo, adeguandosi. Altri invece dicono che Bersani fu troppo timido, che bisogna proseguire su quella strada ma facendo di più, mostrando di essere fuori dalla realtà: se Bersani avesse vinto le elezioni avrebbero detto che era una vittoria della sua linea e bisognava proseguire su quella strada ma facendo di più, siccome Bersani ha perso dicono che bisogna proseguire su quella strada ma facendo di più. E aggiungono però che bisogna “ricostruire”.

Si può dire che il Partito Democratico va ricostruito solo al prezzo di dire che Bersani e i suoi hanno fallito: che nel migliore dei casi hanno snobbato il partito e nel peggiore dei casi lo hanno distrutto, che per questo vanno giudicati severamente e che da questo bisogna trarre delle conclusioni, cambiare direzione, fare cose diverse rispetto a quelle di prima. Si può cambiare idea, naturalmente: basta dirlo, spiegare di aver avuto torto. Ma non si possono sostenere entrambe le posizioni. Difendere le azioni di Bersani e del suo gruppo dirigente si può fare solo al prezzo di rinunciare alla retorica sulla “ricostruzione” del Partito Democratico e presentarsi onestamente come quelli della continuità: quelli per cui le cose sono andate bene fin qui e quindi è il caso di proseguire su quella strada. Buona fortuna.

Luca

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La Lega di Calderoli e la morte del PD

orango

Oggi siamo giustamente indignati per il tentativo della Lega di recuperare la sua base elettorale tramite le invettive razziste dei suoi più spregiudicati dirigenti.

Dobbiamo però essere onesti con noi stessi e ricordarci che è la stessa Lega che in più occasioni il PD ha tentato di sedurre pur di riuscire a far cadere Berlusconi.
Nel 2011 Bersani rilasciò un’intervista a La Padania che, letta oggi, fa accapponare la pelle come allora.

Lo ricorda il collettivo Wu Ming in un post pubblicato sul sito di Internazionale che traccia un’analisi condivisibile del perché il PD non sia riuscito a caratterizzarsi come partito con un’identità definita arrivando perfino a governare insieme a quel Berlusconi il cui abbattimento rendeva plausibile perfino un accordo con un partito xenofobo e razzista.

La normalizzazione forzosa e l’abbattimento delle dogane filosofiche e culturali servono ai buoni affari, agli appalti, alle grandi opere, alle colate di cemento sui territori e sulla testa delle popolazioni, ma nuocciono ad altri aspetti, che toccano altrettanto la sostanza della vita civile e le sorti collettive.

Del resto, il Partito democratico si fonda precisamente su due equivoci culturali, quelli che lo rendono ab origine una forza politica del tutto inservibile per qualsivoglia riforma (e tutt’al più utile per alcune controriforme): la pretesa di essere al tempo stesso liberisti e socialdemocratici, da un lato; e quella di essere laici e filoconfessionali, dall’altro. Questo determina l’impasse, poi l’immobilità, via via fino al rigor mortis.

La terra di mezzo che il PD abita dalla sua nascita è una terra sterile, che non dà frutti.
Non si prende mai una strada precisa, si prova sempre a percorrere un solco ormai arido che non porta in nessun luogo.
E’ la politica del prendere tempo, del non decidere mai niente, del rimandare a domani, del non schierarsi mai, sperando di avere prima o poi una legittimazione popolare che, invece non arriverà e che in ogni caso non basterebbe a dare una linea di governo ad un partito che una linea non ce l’ha.

La vicenda dei reiterati insulti alla ministra Kyenge per il fatto di essere nera e donna (qualcuno infatti ha anche inneggiato allo stupro, ma così, tanto per scherzo…) è una perfetta cartina al tornasole.

Il governo del non-fare, che in questo momento occupa la plancia del Titanic facendo finta di pilotare, ha in organico una ministra la cui designazione può significare una cosa sola: ius soli. Ma lo ius soli non potrà mai essere finché si ha la necessità di abbozzare con gli alleati di governo e di normalizzare certi avversari impresentabili. Di stare cioè tutti insieme appassionatamente sul transatlantico.

Così come non si potrà mai avere una legge decente sulla fecondazione eterologa, né i matrimoni gay ormai approvati in tutto il mondo occidentale, né l’attuazione della legge 194 sull’interruzione di gravidanza (attualmente disattesa grazie alla presenza dell’80 per cento di obiettori di coscienza negli ospedali italiani), né la riduzione dei finanziamenti alle scuole private paritarie confessionali in favore del rifinanziamento della scuola pubblica… se si deve tenere buona la propria componente confessionalista cattolica.

I sedicenti democratici non possono scegliere tra gli operai e Marchionne, tra lo stato laico e la chiesa, tra la libertà e la discriminazione, perché hanno deciso che tutto si può tenere assieme, che il conflitto può essere negato, e di questa negazione hanno fatto la propria ragione sociale. Ma è una ragione sociale fallata, che infatti ha prodotto una débâcle clamorosa. Un partito che era nato con tre obiettivi: sconfiggere Berlusconi, diventare maggioritario, fare le riforme, è riuscito a mancarli tutti. Date le premesse, le cose non sarebbero potute andare diversamente.

Bersani e i suoi sodali meritano il paese che hanno contribuito a costruire. Un paese dove una ministra viene sfottuta e insultata da un rappresentante delle istituzioni perché è nera. Dove solo una donna su due ha un impiego. Dove le donne povere hanno ripreso ad abortire clandestinamente. Dove il monte ore di cassa integrazione sembra l’Everest e i lavoratori di qualunque età vivono in bilico tra precarietà e disoccupazione. Dove solo un bambino su dieci ha un posto all’asilo nido. Dove i cittadini stranieri sono sottoposti al ricatto dei datori di lavoro per avere il permesso di soggiorno, senza il quale rischiano di essere espulsi, dopo essere transitati per le prigioni etniche (istituite dalla legge Turco-Napolitano nel 1998). Dove i movimenti sociali che cercano di opporsi all’avanzata del peggio vengono manganellati e repressi.

Certo è chiedere troppo che i sedicenti democratici si rendano conto di essere ormai il principale ostacolo politico alla rinascita di una sinistra che possa dirsi tale. Tuttavia potrebbero almeno risparmiarci lo spettacolo ipocrita della loro chiassosa indignazione per le battute dei razzisti che fino a ieri consideravano buoni interlocutori.

Non si capisce perché gli italiani dovrebbe dar fiducia ad un partito così poco definito, senza idee, o forse con troppe idee e nessuna capacità di sintesi.

Gli indignati di oggi contro la Lega potrebbero domani essere gli stessi che torneranno a corteggiarla per cercare di andare al governo e, ancora una volta, non riuscire a governare.

Il PD sarà salvato soltanto dal normale procedere degli eventi che, prima o poi, vedranno uscire di scena Berlusconi ed il quadro politico italiano tornerà ad essere quello che è in ogni paese occidentale, costituito cioè da un centro-destra conservatore e da un centro-sinistra progressista.

L’esperimento è fallito, inutile continuare a girarci intorno.
La salvezza del PD sarà la morte del PD come lo abbiamo conosciuto.

Non credo che il lutto durerà per molto.

Luca

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Il PD non ha perso le elezioni, ma rischia di perdere le prossime

Non condivido niente delle analisi che si leggono in queste ore sulla vittoria netta del PD alle amministrative.
La più grossa maledizione che abbia il PD è proprio quella di dimenticare le disfatte elettorali grazie alle vittorie alle elezioni amministrative successive.

Il PD ha vinto per abbandono del match da parte dell’avversario.
Il PDL e il M5S sono partiti carismatici, basati sulla forza comunicativa dei loro leader; quando si ritrovano a votare il politico locale di turno, molti si tirano indietro.
Anche perché il suddetto politico locale di turno è spesso impresentabile. (#ciaogianni) (leggete Makkox)
Il PD spesso riesce a trovare, anche grazie alle primarie, dei candidati credibili. E vince.

A questo si aggiunge la crisi della Lega al Nord e degli ex partiti cattolici al Sud, che ha ovviamente finito per rinforzare i partiti maggiori.
E poi c’è l’astensionismo, che non possiamo far finta di ignorare.

Quindi il PD ha vinto, ma questo non significa che vincerà le prossime elezioni politiche e soprattutto questa vittoria non può essere interpretata come un plebiscito popolare al governo delle larghe intese.
Io credo che sarebbe sbagliato interpretare la vittoria di ieri come un sostegno al governo Letta e al neo segretario Epifani.
Significherebbe fare soltanto una parte di analisi, quella che ci dà ragione.
In tutto questo, il miglior commento che abbia letto in giro è una citazione di Nietzsche, twittata da Enrico Rossi, Presidente della Regione Toscana. Mi pare significativa.

In questa situazione generale, c’è poi il caso particolare di Siena, che per la prima volta dal dopoguerra ha rischiato di essere amministrata da un sindaco di centro-destra.
Non facciamoci ingannare, la vittoria di Valentini non è la sconfitta del rinnovamento.
Non c’erano proposte politiche veramente nuove in gara alle elezioni di Siena.
Valentini si porta dietro Monaci e Ceccuzzi, finalmente tornati amici dopo aver distrutto la precedente giunta con i loro veti incrociati, mentre Neri si portava dietro Piccini, Cenni, Verdini e tutta la compagnia che tanto bene ha fatto a Siena e alla Toscana tutta.

A Siena la proposta nuova sarebbe stata quella di far aprire gli occhi ai senesi, dicendogli che la perdita del Monte non è una tragedia da evitare, ma è un dato di fatto ormai da dare per scontato. Il candidato sindaco veramente innovatore avrebbe dovuto provare a rilanciare Siena ripartendo dalle sue specificità, che sono artistiche, turistiche, enogastronomiche, ambientali, artigianali. Che sono soprattutto i senesi, con i loro pregi ed i loro difetti.

Il connubio tra la banca e la città è finito. Dobbiamo ripartire da lì.
Inutile piangere sul latte versato.
E’ tempo di rimboccarci le maniche e ripartire dalle poche cose che sappiamo far bene.

Faccio i miei migliori auguri a Valentini, ma con poche speranze.
Diciamo nessuna.

Luca

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Sono state giornate furibonde, senza atti d’amore

Abbiamo molto sperato e sofferto in questi giorni.
Sperato che la nostra classe politica riuscisse a fare delle scelte giuste e sofferto perché ogni ora che passava prendevamo atto di quanto le nostre speranze fossero illusorie.

Abbiamo assistito alla morte del Partito Democratico così come lo avevamo immaginato e pensato.
Un partito riformista moderno e coraggioso.
Niente di tutto questo.

In molti si sono chiesti perché il PD non si sia indirizzato verso la scelta di Rodotà, nel giro di un paio di giorni diventato improvvisamente l’uomo della provvidenza.
La risposta è tanto semplice che pare perfino inutile ribadirla.
Rodotà avrebbe preso ancora meno voti di quanti non ne abbiano presi Marini e Prodi.
Il PD si sarebbe spaccato nuovamente e Bersani, che pure le ha sbagliate tutte, non poteva sbagliarne un’altra.
Napolitano era l’unica soluzione praticabile.
Del resto fino a poche settimane fa erano ancora in molti che speravano in una sua riconferma, ricordate?

Ora il PD probabilmente si spaccherà.
Vendola si appresta a costruire l’ennesima costola della costola della costola della sinistra, forse insieme a Fabrizio Barca che oggi, dopo giorni di assoluto silenzio, con spietato opportunismo o innocente dilettantismo, si è espresso contro la riconferma di Napolitano.
Il PD verrà traghettato verso il prossimo congresso da Enrico Letta che farà il governissimo con il PDL e seppellirà nella cenere quelle poche speranze di vita che ardevano ancora nel cuore degli elettori del PD.

Il Movimento 5 Stelle avrà buon gioco.
Hanno deciso di non decidere niente, se ne sono stati sul loro albero a guardare gli altri che si divoravano a vicenda e, con buona probabilità, si comporteranno così per tutto il resto della legislatura.
Avrebbero potuto cercare di collaborare con il PD per attuare quelle poche riforme che potevano bastare prima di tornare al voto, ma hanno deciso di non sporcarsi le mani e di potersi riproporre innocenti come delle verginelle alle prossime elezioni.

Il vero vincitore è ancora una volta Berlusconi che, a questo punto, avrà tutto da guadagnare nel cercare di tornare a votare e ad ottenere l’ennesima investitura elettorale.

Non invochiamo Matteo Renzi come salvatore del partito e della patria, perché ora c’è da ricostruire su delle macerie e il congresso non ci sarà prima di Ottobre e saranno mesi di stillicidio intollerabile e sfiancante che non sappiamo dove ci potranno indirizzare.
Matteo Renzi è bravissimo a fare il front man, ma non credo sia adatto a prendere la cazzuola in mano e a mettersi a ricostruire la casa.

E’ tutto molto triste ed avvilente.
Non doveva andare a finire così, ma così è andata a finire.

Detto questo, niente di quello che è successo in questi giorni si discosta di un centimetro dai normali meccanismi di una democrazia parlamentare, nella quale i rappresentanti del popolo prendono delle decisioni nel solco della Costituzione.
Quindi Grillo ha fatto malissimo a parlare di golpe, invitando la gente ad andare a Roma in piazza.
La piazza sarebbe meglio non invocarla.
Grillo ha in parlamento un esercito di cittadini pronti ad obbedirgli.
Se vuole cambiare le cose, che le cambi.

Siamo morti, il partito nel quale ci riconoscevamo è distrutto.
Ora cambi lui le cose, ma le cambi insieme agli altri.
Altrimenti quella che ha in mente non è una democrazia, ma una bizzarra idea di dittatura parlamentare in cui 150 utili idioti devono semplicemente ratificare quello che il capo, o una sua bizzarra finta rappresentanza internettara, di volta in volta decidono.

Ora ci sorbiremo giorni, settimane, mesi di VERGOGNATEVI, SIETE MORTI, SIETE LA KASTA e cose simili.
Siamo abituati a soffrire.
Delusi dal nostro partito e insultati dal resto del mondo.

Verranno giorni migliori.
Per tutti, si spera.

Luca

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Perché Prodi si e Marini no? Non sono la stessa zuppa?

L’altra sera ci siamo incazzati fortemente.
Ero in autobus, ed ho seguito su Twitter il montare della protesta contro la scelta di Bersani di candidare Marini.

Fino a poco tempo fa la protesta sui socialcosi avrebbe lasciato indifferente la politica (lo dice bene Luca Sofri), ma ora tutti i politici e i giornalisti sono su Twitter e la protesta l’hanno recepita forte e chiara, addirittura amplificata rispetto alla realtà.
Per chiarirsi, l’incazzatura su Twitter era molto più forte di quanto non fosse nel supermercato o nel bar del quartiere.

Alcuni si sono chiesti il perché di tutto questo sdegno.
In fondo Marini non ha un profilo perfetto per poter fare il Presidente della Repubblica?
Certo che lo ha, ma il guaio non è stata la sua scelta, che in ogni caso non era certo la più innovativa del mondo, quanto tutto ciò che stava dietro quella scelta.
E tutto ciò era questa foto di Bersani che abbraccia Alfano.
La scelta di Marini era funzionale ad un governo Bersani sostenuto dal PDL.
E gli elettori del centro-sinistra, quanto meno quelli che frequentano Twitter questa opzione l’hanno rifiutata.

Marini ha confermato che la sua candidatura era finalizzata a fare il governissimo:

È saltata la strategia di un dialogo con il centrodestra finalizzata all’obiettivo di dare all’Italia un Governo, dinanzi alla durissima situazione del Paese. Strategia da me pienamente condivisa. Anche perchè ritengo una follia il ritorno immediato alle urne con questa legge elettorale. Ovviamente con il cambio di strategia viene meno anche la mia candidatura.

Il resto lo sappiamo.
In tanti hanno lavorato per fare uscire un nome alternativo e, onestamente, Prodi è il nome che sicuramente può calamitare tutti i voti del centro-sinistra e, se si dovesse andare avanti con le votazioni, forse anche quelli di Scelta Civica e del Movimento 5 Stelle.

Tra Prodi e Marini ci sono poi molte differenze, che è inutile rimarcare.
Marini, per dire, è stato uno dei principali artefici della caduta di Prodi nel 1998.
Ma questi sono retroscena ed è inutile stare a rivangare il passato.

Luca