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diritti umani

Si chiama anatomia, Grimoldi, anatomia

Stamattina ho letto la notizia dell’interrogazione presentata al Ministro dell’Istruzione da un deputato leghista che, sollecitato da alcuni genitori, avrebbe richiamato l’attenzione su una parte del Diario di Anna Frank che sarebbe troppo scabrosa per essere letta da bambini delle elementari.

Mi sono chiesto che cosa avesse scritto Anna Frank di tanto scabroso.
Nella lettera che Anna Frank scrive il 24 Marzo 1944 c’è una descrizione piuttosto minuziosa che la ragazza fa dei propri organi genitali (ho trovato solo una versione inglese del brano).

Quella che il deputato leghista chiama “parti intime” si chiama vulva ed è la parte esterna degli organi genitali femminili.
Roba talmente scabrosa da apparire in qualsiasi libro di anatomia.

Anna Frank, come qualsiasi ragazza, guardava il proprio corpo.
Vedere in questa descrizione qualcosa di cui vergognarsi con i bambini fa dubitare dell’intelligenza di Paolo Grimoldi e dei genitori che lo hanno sollecitato ad interrogare il Ministro.

Massimo Gramellini è più buono di me:

Ma non voglio farne colpa all’onorevole Grimoldi o ai genitori degli allievi della scuola elementare di Usmate Velate, in provincia di Monza, che gli avrebbero segnalato il gravissimo caso. Sono vittime anch’essi di quella incapacità di cogliere il senso complessivo di un evento o di un’opera, arrestandosi davanti al particolare scabroso o semplicemente irrituale, che chiamerei la sindrome del divano. Il divano è la normalità, il simbolo di un’esistenza tranquilla da abitare in tinello, dopo avere chiuso la porta a doppia mandata. La tv fa parte dello stesso tinello in cui si trova il divano: la sua volgarità è rassicurante, indigna e spaventa di meno.

A indignare e spaventare sono la diversità, l’originalità, l’imprevisto: tutto ciò che distrae dalle certezze sedimentate e perciò va rifiutato e rimosso. Gli occhiali che si indossano davanti al divano assomigliano alle lenti dei microscopi: magari di un capolavoro non afferreranno l’essenza, ma ne coglieranno sempre la riga fuori posto.

Luca

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Paternità

Da quando sono diventato padre la mia visione della vita è sostanzialmente cambiata.
Ho soprattutto sviluppato un senso di protezione verso i bambini che mi fa spesso sconfinare nell’essere un padre troppo mollaccione.

Quando ho visto il video delle maestre di Pistoia devo dire che mi sono venute le lacrime agli occhi.
Veramente mi chiedo che padre e che madre devi avere avuto, quali traumi infantili devi aver subito, quale deludente esistenza tu debba aver vissuto per trattare un bimbo in quel modo.

Luca

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vivere

Sarà che è Lunedì

Mentre eravamo imbottigliati nel traffico di Bogotà Firenze guardavo un gruppo di bambini che si stava dirigendo verso scuola.
Erano quasi tutti dotati di zainetti-trolley, quelli che hanno anche le ruote.
Coloratissimi.
Gormiti, Ben 10, Winx ed Hello Kitty.
Ma pur sempre trolley.

Me li vedevo già ometti in giacca e cravatta che si dirigono in aeroporto per un incontro di lavoro.
Mi hanno messo malinconia.

Sarà che è Lunedì.

Luca

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vivere

Il bambino e la bara

Inutile invocare il rispetto per il dolore di un bambino.
Ormai, quella foto in cui con una mano accarezza la bara del padre e con l’altra si copre gli occhi che piangono è diventata un’icona.
La foto è stata pubblicata da tutti ed ovunque, anche nel New York Times.

Io non l’avrei pubblicata.
Si può pubblicare la foto di un morto in battaglia, non quella di suo figlio che piange.

Ormai è andata.
Il bambino è diventato suo malgrado un’icona.

Di certo le sue lacrime, confrontate con quelle degli uomini seduti in prima fila, fanno venire rabbia.

lacrimecoccodrillo

Luca

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fotografia

Cristian Movila

movila

Un giorno Cristian Movila va all’ospedale di Bucarest per visitare un amico.
Sale però al piano sbagliato.
Finisce nel reparto di oncologia pediatrica.
Nessuno gli dice niente, così lui inizia a visitare il reparto.
Trova tanti bambini, alcuni con le loro famiglie.
Tanti da soli.

Cristian ha 26 anni e rimane folgorato da questa esperienza.
Ogni giorno per due mesi torna in quel reparto.
Parla con i bambini, conosce le famiglie ed il personale sanitario.

Dopo due mesi inizia a portare la sua macchina fotografica.
Cristian è un fotografo.
Per due anni e mezzo lavora ad una splendida serie fotografica che chiama “Unfinished Dreams”

Potete vedere la serie sul suo sito.

It’s really difficult to balance the roles of social promoter and journalist in such a case, Surrounded by those kids, I stopped being anything else but a human being.

Luca

Via | Lens – NYT