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La battaglia contro gli open space

C’è un’alternativa al lavorare in open space? Alla Pixar dicono di si

Elena Favilli ha scritto una cosa interessante sul fatto di lavorare negli open space, di come questi favoriscano soltanto gli estroversi, peggiorando la creatività di chi estroverso non è.

Racconta di come alla Pixar (ed ho detto alla Pixar) lavorino in stanzette e per favorire gli scambi sociali e lavorativi abbiano trovato altri modi.

Eppure Il Nuovo Pensiero di Gruppo ha ormai travolto i nostri luoghi di lavoro. Si lavora in gruppo, in spazi privi di pareti divisorie e alle dipendenze di capi che apprezzano soprattutto le capacità di relazione e di dedizione alla squadra. I geni solitari sono out. I frat boys sono in.

Ma c’è speranza, dicevo. Andare verso soluzioni più ibride è possibile anche se non si lavora alla Pixar. Basterebbe avere uffici che incoraggiano le interazioni casuali, consentendo però alle persone di scomparire in spazi personalizzati e privati quando hanno bisogno di stare da sole. Ronnie Del Carmen passa la maggior parte del suo tempo chiuso nel suo ufficio a disegnare storyboard. Collaborazione per lui significa salire su un monopattino e scambiare quattro chiacchiere con i colleghi sulla strada verso il bagno.

Ovviamente la soluzione ideale non esiste.
Dipende dai lavori e dai contesti.
Ma fa piacere notare che ci siano eccezioni al pensiero unico.

Luca

2 risposte su “La battaglia contro gli open space”

“I geni solitari sono out. I frat boys sono in.”
Anche da noi abbiamo questo problema, di solito gli estroversi corrispondono con i maleducati ed invece di incrementare brillantemente il livello di relazione succede che lo mortifichino sottomettendolo a esternazioni autoreferenziali.

“Contro” gli open spaces, vorrei segnalare questo link http://bit.ly/S2YwTf : si tratta di pareti divisorie indicate prevalentemente per l’ufficio, ma con l’utilizzo del vetro e del cristallo la totalità dello spazio rimane integra.

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