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Mezza riforma è peggio di una riforma intera

Pare perfino ovvio dirlo, ma la pavidità del governo porterà probabilmente il parlamento ad approvare una riforma del mercato del lavoro appena abbozzata.
Una riformicchia, come la definisce Francesco Costa:

Ora ci teniamo questa riformicchia, che toglie qualche protezione a chi ne ha molte e ne aggiunge poche a chi non ne ha, lascia in piedi i mille contratti precari, fa salire ancora il già altissimo costo del lavoro, rischia di generare disoccupazione e salari più bassi, lascia fuori tutti i lavoratori del settore pubblico ed è probabilmente destinata a peggiorare in Parlamento. Bravi tutti.

Le riforme fatte a metà, così care a noi italiani, sono spesso un rimedio peggiore della malattia.

Ma, come dice sempre Francesco Costa, se il rimedio si chiamo Ichino, allora non se ne può nemmeno parlare:

[…] se questa riforma del lavoro somigliasse di più alle demoniache proposte di Pietro Ichino, i problemi di cui stiamo discutendo oggi non esisterebbero. Chi oggi è tutelato dall’articolo 18 se lo terrebbe così com’è, senza rinunciare a una briciola, a niente di niente. Chi oggi non è tutelato dall’articolo 18 riceverebbe un numero di diritti e tutele superiore a quelli stabiliti dalla riforma Fornero. Ma la parola “Ichino” è diventata un simbolo, una bandiera, così come “articolo 18″, e quando ci sono di mezzo i simboli e le bandiere le discussioni di policy non vanno da nessuna parte.

La vera categoria di persone che uscirà ancora una volta massacrata da questa riforma sarà quella dei precari, tanto citati da un certo movimentismo di sinistra, quanto ignorati dai partiti e da chi, CGIL in testa, di quel movimentismo è bandiera.

Poi fra un mese vedremo in piazza i precari a manifestare di fianco ai pensionati e ai dipendenti pubblici, e sarà molto triste e molto comico al tempo stesso.

Luca