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La Bignardi su Renzi

Daria Bignardi spiega, meglio di molti politologi, perché forse varrebbe la pena che il PD provasse ad investire su Matteo Renzi.

Renzi è l’uomo che raccoglie più rancori e insulti all’interno del Pd, e l’accusa di connivenza col nemico (prima con la visita ad Arcore, poi con l’illazione sui suoi avvicinamenti a Montezemolo) ne è la tipica sanzione.
Infine c’è la lettura della sua inclinazione politica e strategica, che i suoi ammiratori chiamano duttilità e capacità di ascoltare, e di capire il cambiamento, e i suoi detrattori paraculaggine e superficialità, o persino berlusconismo. Alla fine la divisione che crea a sinistra (ma guadagna attenzioni su un elettorato di centro postberlusconiano) è tra chi è disposto a prendersi dei rischi pur di affidarsi a un rappresentante del cambiamento e chi pensa che quei rischi siano eccessivi e che il cambiamento debba avvenire nel solco della storia del maggiore partito del centrosinistra finora, senza scossoni. Alla fine, se Renzi si candiderà a guidare il centrosinistra – deludendo molti suoi concittadini che si aspettano che continui a fare il sindaco – ci sarà l’occasione di sancire democraticamente chi debba avere ragione in questa contesa: lasciando che partecipi alle primarie, e che le passioni dei suddetti elettori trovino un terreno di confronto. E quello che succederà sarà la cosa giusta. Come al solito: lasciamoli provare, invece di soffocarli da piccoli. Poi si vedrà.

Luca

Una risposta su “La Bignardi su Renzi”

Non mi sembra tutto sto gran commento, quello che dice varrebbe per chiunque non solo per Renzi. Chiuque ha diritto a provare e se le primarie gli danno ragione ha comunque l’investitura. Lo stesso per i rancori se si misura l’importanza dai nemici, allora alle scorse primarie nel centrosinistra Grillo o Di Pietro andavano considerati allo stesso modo.

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