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Mi sembra di avere sentito qualcosa sulla mia guancia quella notte

L’altro giorno vi raccontai del suicidio di Siamak Pourzand, il Mandela dell’Iran.
Una delle figlie ha scritto una lettera molto bella, tradotta in italiano dal Post.

Davvero? Ti sei buttato dalla stessa finestra da cui ti affacciavi ogni giorno a immaginare il nostro ritorno? Quando venni a trovarti brevemente cinque anni fa con l’intelligence che non mi perdeva mai di vista, mi prendesti la mano, mi portasti a quella stessa finestra, mi mostrasti una scuola elementare dall’altra parte della strada e mi dicesti «È una scuola di bambine. Le senti mentre giocano con i loro veli? La mia piccola Azadeh è ancora tra loro. Sei sempre lì, a giocare nel cortile. Mi sveglio tutti i giorni e ascolto la loro cerimonia mattutina immaginando la mia piccola farfalla, Azi, tra loro». Poi ci mettemmo ad ascoltare e guardarle giocare e urlare nel cortile. Poi mi facesti promettere che un giorno anch’io avrei portato un bambino in questo mondo. Mi promettesti che saresti rimasto vivo finché non sarei entrata a Harvard, avessi scritto la nostra storia, avuto una bellissima famiglia e ti avrei portato un nipotino con cui giocare così non saresti stato più solo e non ti saresti più annoiato. Allora ci siamo messi a ridere e io ti ho detto: «Papà, lo chiamerò Siamak». E abbiamo sorriso. «Ma ora è troppo presto per pensare a queste cose», mi dicesti «voglio soltanto che tu sappia che non vedo l’ora di vedere il piccolo bambino di Azadeh e che aspetterò fino a quel giorno, se Dio vorrà, e mi manterrò in salute finché non saremo di nuovo insieme».

Che cos’è successo, Siamak Pourzand? Mi avevi promesso che avresti aspettato su quel balcone. E poi non hai potuto aspettare più. Non ti biasimo, nemmeno per un secondo. Avevi tutto il diritto di cercare la libertà in questo modo. […] Ho sentito che ti sei aggrappato al balcone per un secondo prima di lasciarti cadere. Era perché te n’eri pentito? O perché per un secondo, mi hai sentito bussare alla porta? Il pensiero di te aggrappato per un secondo a quel balcone mi sta uccidendo. Mi manchi così tanto, papà. Mi sei mancato per anni. Ma almeno potevo prendere il telefono e sentire la tua voce. E adesso? Chi mi chiamerà per lasciarmi quei buffi messaggi tutti i giorni? Chi? Davvero te ne sei andato per sempre? Non posso crederci. È successo davvero? Davvero ti sei buttato da quella finestra? Che cos’hai pensato mentre cadevi dal sesto piano fino al momento in cui la terra ha colpito la tua testa? Hai pensato a noi? Mi hai mandato un bacio d’addio? Mi sembra di avere sentito qualcosa sulla mia guancia quella notte. Eri tu? Dimmi che eri tu.

Luca