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Filippo Facci si è dimesso da Mediaset e dopo 15 anni non scrive più su Il Giornale.
Su Macchianera ha pubblicato l’articolo che è uscito ieri su Libero.
Parla di Fini e di come solo in Italia lo si possa considerare “di sinistra”.
E critica soprattutto chi vorrebbe che Fini rientrasse dei ranghi, dimenticando la terza parola che compone la sigla PDL.

Ha fatto bene? Ha fatto male? Chissà. A oggi sappiamo solo che tutto questo è servito per ritrovarsi stampate nero su bianco, un bel mattino, le ciniche espettorazioni giornalistiche di chi gli ha intimato di punto in bianco: «Rientra nei ranghi, sei ridicolo».

I ranghi.
A pensarla come Gianfranco Fini sono in milioni, nel centrodestra, e in milioni fisiologicamente non la pensano come lui: volete smembrare gli uni dagli altri, ciascuno nel suo preciso rango? Non è difficile: basterebbe tornare alla Repubblica multipartitica, basterebbe non mettersi in testa fondare il più grande partito della storia d’Italia come però, ecco, è stato fatto: un crogiolo composito, complesso, ridondante, soprattutto molto più e ambizioso dei ranghi da caserma prefigurati da qualche bollito con in mano il Winchester. La terza parola che compone il nome del partito – il Pdl – forse andrebbe riletta e riletta sino a stamparsela nel cranio una volta per tutte.
Mica i ranghi.

Filippo Facci è un cane sciolto. Non conta niente.
Certi segnali, però andrebbero interpretati.

Luca

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