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diario vivere

A faccia in giù

Cammini a passo svelto verso la stazione.
Un filo di malinconia che ti pervade sempre nel tuo eseere costantemente lontano.
I Sigur Ros nel lettore mp3 che ammantano tutto di tranquilla inquietudine.

Vedi delle persone ferme sul marciapiede.
C’è un bus e c’è un’ambulanza.
Poi la vedi.
E’ una ragazza, forse una donna.
E’ riversa a faccia in giù, in una posa innaturale.
Il naso sui sanpietrini.
Accanto a lei il gelato che probabilmente stava mangiando quando il bus l’ha colpita.

I soccorritori si stanno prodigando per immobilizzarle il collo.
Forse è già morta.
O forse non si è fatta niente.
Non vuoi saperlo.
Ti allontani subito.

E poi ti vedi.
Riverso sull’asfalto.
Con la faccia conto i sanpietrini.
Non puoi muoverti.
Senti il telefono che ti vibra in tasca.
Non puoi rispondere.
Il pensiero va ai tuoi bambini.
A tua moglie.
Ai tuoi cari.

Mentre torni alla realtà pensi che se c’è una cosa negativa che la paternità ti ha provocato, quella è la paura di morire.
E non si può morire con un gelato in mano, quando non te l’aspetti.

Non si dovrebbe poter morire senza avere il tempo di salutare tutti.

Luca