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Questo falso amore per gli animali

Sto per scrivere una cosa che a molti sembrerà barbara, ma per una volta fatemi parlare di qualcosa che conosco un po’ di più.
Bestie.
Cani, per la precisione.
Che sono animali, per chi se lo fosse dimenticato.
Non sono né bambini, né gadget da portare nella borsetta.
Sono una cosa diversa.
Esseri da rispettare, ma da trattare come animali.

Lo spiegava in questi giorni Danilo Mainardi, il padre di tutti gli etologi italiani.
Quei cani che non sono stati “imprintati” dall’uomo, quelli cioè nati nel branco, non sono più cani come li conosciamo noi.
Non sono nemmeno lupi, come qualcuno stupidamente dice.
Sono dei “mostri” che non riconoscono l’uomo come “padrone”, ma che non lo temono nemmeno, perché ci vivono accanto.

Questi cani randagi, di seconda o terza generazione, non sono recuperabili.
Vanno abbattuti.

Sui randagi di prima generazione, quelli cioè direttamente abbandonati da uomini scellerati, si può intervenire.
Decidete voi se è più etico tenerli chiusi in un canile merdoso o se accompagnarli alla morte con una iniezione.

Prima di decidere, consideriamo che in Italia ci sono 600.000 cani randagi, di cui soltanto 100.000 nei canili.
Questo significa che ci sono in giro per il nostro paese mezzo milione di cani randagi.

Non abbiamo i soldi per dare una vita dignitosa a poco più di 20.000 carcerati.
Possiamo farcela con i cani?

Lo so che ci sono tante persone che dicono che i cani sono meglio degli uomini, ma permettetemi di dissentire.
L’amore per la natura è tutta un’altra cosa.
Controlliamo le popolazioni della fauna selvatica, possiamo a maggior ragione controllare i cani randagi.
E quando dico controllare, intendo “abbattere”.
I professionisti che lavorano nel campo della gestione faunistica sono tutte persone amanti della natura e degli animali, ma che sanno che è necessario scendere a compromessi se vogliamo controllare un ambito naturale ormai totalmente antropizzato.
Se abbattiamo caprioli, cinghiali e daini possiamo a maggior ragione abbattere i cani randagi senza per questo doverci considerare nemici degli animali.

Di sicuro una cronaca del genere, in un paese civile, non dovremmo più leggerla:

Una domenica di festa e di allegria, che è diventata una tragedia senza fine; l’immagine di quella maglietta del Milan poggiata sul manubrio della mountain bike di Peppe, nessuno è riuscita a cancellarla dagli occhi.
“Sento freddo, mi aiuti”.
Sono state le ultime parole che Giuseppe riverso a terra, poco distante dalla sua bici, ha detto al carabiniere che provava a soccorrerlo mentre quattro cani che lo avevano azzannato, attaccavano il militare che gli metteva addosso la sua giacca a vento.

Peppe aveva 9 anni e stava facendo un giro in bici.

Luca