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La notte che Pinelli

Un anno fa lessi il libro di Mario Calabresi e mi piacque così tanto che ve ne consigliai la lettura.

Oggi, o meglio fra qualche giorno, esce per Sellerio “La notte che Pinelli”, un libro di Adriano Sofri sulla storia di Giuseppe Pinelli, la cui morte fu ascritta al commissario Calabresi che per questo verrà poi ucciso sotto casa.

È la vecchia storia del ferroviere anarchico che venne giù dalla finestra del quarto piano della Questura di Milano. Quarant’anni fa, più o meno. Quelli che allora c’erano, ciascuno a suo modo, credono di saperla. Be’, non la sanno. In nessuno di quei modi. Figurarsi quelli che non c’erano. Figurarsi una ragazza di vent’anni, di quelle che fanno le domande. Anch’io credevo di saperla. Poi ho ricominciato daccapo.

Leggerò il libro di Sofri e cercherò di capire qualcosa di più di questa triste storia, nota come “Caso Calabresi”.
Ve lo consiglio pur senza averlo letto.
Che delle storie bisognerebbe sempre conoscere i vari punti di vista.
E quello di Adriano Sofri è sicuramente quello più informato.

Temo ondate polemiche di gente che nemmeno leggerà il libro.
Ed è proprio per questo che credo sia importante leggerlo.

Potete leggere una parte del primo capitolo sul blog di Luca Sofri.
C’è anche un gruppo su Facebook, per discuterne e ragionarci sopra.

Luca

3 risposte su “La notte che Pinelli”

Anche io ho letto il libro di Mario Calabresi e mi è piaciuto davvero tanto. L’altra sera ho letto sul corriere che a breve uscirà il libro di Sofri, e ovviamente attendo per poterlo comprare. Concordo sul fatto che sarebbe giusto conoscere i vari punti di vista ma solitamente ci si fa sempre l’idea contraria a quel che realmente è accaduto. Come c’è scritto sopra, se non lo sanno i presenti figuriamoci gli assenti!

Ieri ho finito di leggere La notte che Pinelli, sei o sette mesi fa quello di Calabresi. Non faccio commenti, troppo complicato farlo in poche righe senza rischiare fraintendimenti, ma consiglio di leggerli entrambi e di sforzarsi di farlo senza preconcetti (cosa difficilissima, io ci sono riuscito solo in parte, avevo 8 anni nel 69 e sono cresciuto nel clima che ne è derivato maturando dei convincimenti che sono duri da sradicare). Mi sento però di dire che sono entrambi un pugno nello stomaco, ma aiutano a crescere, e da entrambi ho rafforzato una opinione (fra le altre cose): i morti non possono dare la loro versione dei fatti e nei tribunali i parenti delle vittime contano troppo poco.

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