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La svolta metal dei Dream Theater

Per accontentare i molti lettori che hanno scoperto il mio blog mentre stavano cercando notizie sull’ultimo album dei Dream Theater, pubblico una recensione di Systematic Chaos.

SC è il nono album di studio dei Dream Theater ed è il primo pubblicato con la Roadrunner Records.
In molti si attendevano una svolta dopo il cambio di etichetta e svolta c’è stata.
Per quanto mi riguarda è però andata non nella direzione che mi auspicavo.

Le mie considerazioni devono ritenersi valide per sette degli otto brani dell’album.

I DT hanno svoltato verso il metal, dimenticando quasi del tutto le contaminazioni progressive che li hanno resi una delle band più interessanti del panorama rock degli ultimi 20 anni.

Non ho mai sentito un disco dei DT così piatto e privo di sentimento.
Petrucci, che già normalmente tende a cadere nel tecnicismo, offre una prova incolore, sfoderando assoli tanto veloci quanto privi di ispirazione.
La stessa cosa la possiamo dire per Rudess, il funambolico tastierista, che sembra soltanto voler inseguire la velocità del suo amico chitarrista.
Il cantato è quasi sempre piatto, scontato e incapace di valorizzare il caratteristico timbro di Labrie.
Myung e Portnoy forniscono, invece la tradizionale garanzia per quanto riguarda l’impianto ritmico; non sono loro a deludere.

Uno sguardo veloce alle 8 tracce dell’album.

  1. In the Presence of Enemies Pt. 1: E’ la prima parte della Suite, che si conclude con l’ottava traccia e rappresenta l’overture dell’album. E’ piatta come il resto.
  2. Forsaken: qui si tocca quasi il fondo. E’ il pezzo da classifica. Brutto. Forse il peggiore. Sicuramente il più banale.
  3. Constant Motion: pezzo molto duro, anzi durissimo. Tempo ai limiti dell’umano. Sarebbe bello, se avesse qualcosa da dire. Ma non lo ha.
  4. The Dark Eternal Night: qui siamo di fronte ad un pezzo metal. Sembra di sentire i Metallica. Tecnica mostruosa. Petrucci con la chitarra a 7 corde. Ma è un pezzo troppo duro per le mie orecchie. Mi sarebbe forse piaciuto 20 anni fa.
  5. Repentance: pezzo floydiano, ma soltanto nelle sonorità. Minestrone insipido e privo di mordente. Il peggior pezzo dell’album
  6. Prophets of War: qui i DT provano a sperimentare, anche se il risultato è troppo commerciale. Rudess si cimenta con l’elettronica ed il pezzo è carino.
  7. The Ministry of Lost Souls: il miglior brano presente in SC. Lunga ballata, arricchita da molti cambi di tempo, ma con una struttura bella, gradevole. Petrucci si ricorda di essere un chitarrista e non un fenomeno da baraccone; bel riff, soli corposi e convincenti. Questo si, è un bel pezzo.
  8. In The Presence of Enemies Pt. 2: pezzo piuttosto scialbo e noioso, anche se migliore rispetto al resto.

Forse sono stato un po’ cattivello, ma le mie aspettative su questo album erano ben altre.
E’ evidente che SC sia un lavoro qualitativamente ben superiore alla media, ma i DT ci avevano abituato a ben altro.
Del resto, dopo più di 20 anni di carriera, un po’ di appannamento mi sembra naturale.
Li aspettiamo alla prossima prova.

Luca

3 risposte su “La svolta metal dei Dream Theater”

che peccato…

ricordo “scenes of a memory” come un disco assaissimo interessante, con tutti gli anche se che i puristi (quale io non sono) potranno sollevare… rimaneva una band “da seguire” nel panorama mondiale.

vedendo che anche beatles, rolling stones, neil young e rem hanno fatto dischi a dir poco discutibili (per non dire sanissime boiate), mi associo alla speranza che il prossimo sia meglio…

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